«Abbiamo le prove: dall’Iran armi ai ribelli iracheni»

Le milizie sciite riceverebbero materiale militare dal 2004

Prima Washington accusava soltanto. Ora sostiene di avere le prove, se non la certezza, del coinvolgimento di Teheran nell’addestramento e nell’armamento di alcuni gruppi dell’insurrezione sciita in Irak. La più evidente, a sentir gli esperti dell’intelligence, sarebbe un cilindretto di esplosivo, una carica cava capace di liquefare le corazzature dei mezzi blindati, attraversarle e carbonizzare gli equipaggi. Una carica cava direzionale molto simile a quella usata lo scorso aprile a Nassirya per far saltare un blindato italiano e bruciare vivi quattro nostri soldati. Quel micidiale ordigno, inserito nella maggior parte degli ordigni comandati a distanza utilizzati dalle milizie sciite, sarebbe secondo Washington la vera «pistola fumante» capace di incastrare Teheran.
Parlare di pistole fumanti, prove e certezze basate sull’intelligence in un Paese dove non sono mai saltati fuori gli arsenali chimici di Saddam è, però, come parlare di corda in casa dell’impiccato. Dunque la parola d’ordine dai comandi americani, da Bagdad al Pentagono, dalla Casa Bianca alla sede della Cia di Langley, è prudenza. Quelle prove devono venir esposte con circospezione, distribuite con parsimonia e fatte arrivare all’opinione pubblica attraverso interlocutori affidabili e credibili. Le prime esibizioni di cilindri esplosivi, proiettili di mortaio e altri armamenti considerati di chiara provenienza iraniana sono iniziate lo scorso dicembre davanti ad un ristretto gruppo di esponenti del Congresso. E ieri uno di quegli esponenti del Congresso, il senatore democratico Joe Lieberman, ha approfittato della conferenza sulla sicurezza di Monaco per renderle di pubblico dominio. «Dopo averle viste mi sono definitivamente convinto – ha detto il senatore - che gli iraniani riforniscano e addestrino le persone che in Irak uccidono i nostri soldati».
Secondo fonti d’intelligence Usa, i reperti esibiti ai membri del Congresso sono solo una parte della documentazione capace di mettere sotto accusa l’Iran. Una parte consistente e qualitativamente assai importante di quel bottino accusatorio sarebbe stato ottenuto grazie a quell’incursione nel consolato iraniano di Erbil, dove l’arresto e l’interrogatorio di 5 funzionari iraniani è stato seguito dal sequestro dell’intero archivio. Altre prove proverrebbero da una serie di raid nella zona di Bagdad che, a sentire le malelingue, comprenderebbero il rapimento del secondo segretario dell’ambasciata iraniana nella capitale. Uno degli iraniani catturati avrebbe, secondo fonti Usa, fornito almeno due ordigni esplosivi. I documenti sequestrati proverebbero invece un transito ininterrotto di armi e munizioni dalla frontiera iraniana.
Stando a un rapporto riservato citato dal New York Times, la Brigata Gerusalemme dei pasdaran, specializzata nelle operazioni all’estero, avrebbe incominciato a rifornire di esplosivi e attrezzature le milizie sciite già nel 2004.

Un altro rapporto citato dal quotidiano americano mette sotto accusa persino l’ ayatollah Alì Khamenei, suprema autorità politico-religiosa iraniana: «Nell’ambito della sua strategia l’Iran persegue una deliberata politica, approvata dal supremo leader Khamenei e messa in pratica dalla Brigata Gerusalemme, rivolta a fornire esplosivo e addestramento ad ristretti gruppi di milizie sciite impegnate negli attacchi ad obbiettivi della coalizione».

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