«Abu Mazen sfuggito a un attentato di Hamas»

Tre giorni di scontri hanno già provocato 28 morti. E l’Arabia invita le parti a far pace alla Mecca

«Abu Mazen sfuggito a un attentato di Hamas»

Forse è solo una montatura. Forse lo volevano far fuori sul serio. Comunque anche la propaganda è un’arma e Fatah la usa al meglio. Soprattutto in queste ore di sanguinosa guerra civile. Da ieri le sue «gole profonde» fanno circolare le notizie su un fallito attentato al presidente palestinese Abu Mazen. Altro odio, altro rancore versati nell’esplosiva melassa che - da giovedì notte - alimenta la sanguinosa battaglia tra fazioni palestinesi. La battaglia, combattuta in diverse zone della Striscia, è continuata senza tregua per tutta la giornata di ieri causando cinque nuove vittime e facendo salire a 28 il bilancio dei caduti di tre giorni di scontri. Una bomba ha semidistrutto la casa di una delle guardie del corpo di Mohammad Dahlan, l’uomo forte del presidente considerato il vero regista delle operazioni condotte dalle forze della Sicurezza Preventiva contro i miliziani di Hamas. Mentre le trattative restano all’orizzonte la violenza rischia di tracimare anche in Cisgiordania. A Nablus miliziani di Fatah hanno infatti rapito cinque militanti di Hamas tra cui una guardia del corpo del vice premier Nasser al Shaer.
In questo clima l’unico barlume di negoziato resta quello offerto dal re saudita Abdullah che ha invitato Fatah e Hamas a incontrarsi alla Mecca. L’iniziativa secondo Al Arabya sarebbe stata accolta da entrambe le parti e potrebbe rivelarsi decisiva per sbloccare la situazione.
Il complotto per eliminare Abu Mazen, secondo Fatah, doveva scattare una decina di giorni fa, prima di un programmato incontro tra il presidente palestinese e il primo ministro dell’Autorità Palestinese Ismail Haniyeh. L’agguato era già pronto a metà strada tra il valico di Eretz, punto d’accesso alla Striscia da Israele e il campo profughi di Jabalya. Lì una voragine di fuoco avrebbe inghiottito le venti automobili del convoglio presidenziale distruggendo, grazie al quantitativo d’esplosivo impiegato, anche l’auto blindata del presidente. La notizia era già uscita una settimana fa, quando altre fonti di Fatah avevano annunciato la scoperta di cariche esplosive in alcuni tunnel scavati tra Eretz e Gaza City. Allora le fonti erano state meno categoriche accennando solo a un possibile attentato contro il presidente o contro il suo consigliere Mohammad Dahlan. Ora fonti di Fatah danno per certo il complotto organizzato da elementi di Hamas per uccidere il presidente. All’apparenza tutto quadra. Solo i responsabili della sicurezza di Ismail Haniyeh conoscevano l’ora esatta dell’incontro con il presidente. Solo loro potevano comunicarlo al commando incaricato di far saltare l’esplosivo nascosto sotto terra. Ma se le forze di sicurezza di Fatah erano al corrente del tentativo e avevano trovato l’esplosivo perché, si son chiesti in molti, non hanno bloccato il presidente e non sono intervenuti per fermare i sospetti attentatori prima dell’esecuzione del piano? Alla domanda rispondono i portavoce di Hamas convinti di esser davanti a una solenne montatura. A dar retta a loro le cariche di esplosivo erano state piazzate lì da tempo e non servivano a colpire il convoglio presidenziale, ma a fermare le colonne dell’esercito israeliano nel caso di una nuova invasione della Striscia.
A dar pieno credito alla versione dell’attentato fallito contribuiscono invece fonti americane e israeliane. I più preoccupati sarebbero gli uomini dei servizi di sicurezza di Washington incaricati di sostenere, rafforzare e proteggere il presidente palestinese. Dal loro punto di vista Mazen non doveva neppure andare in Siria per partecipare all’incontro con il presidente Bashar Assad e con il capo di Hamas in esilio Khaled Meshaal. Il presidente, sollecitato da siriani e iraniani, decise invece di non rinunciare al viaggio. Da allora Abbas non ha però più rimesso piede in patria.

Da Damasco ha raggiunto la località svizzera di Davos dove è intervenuto al consueto forum internazionale e da lì si è spostato prima a Madrid e poi ad Addis Abeba dove ancora si trova. La sua perdurante assenza, mentre Gaza precipita nei vortici della guerra civile, lascia sconcertati molti palestinesi.

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