Accuse da ergastolo per 14 anni

Ora. Non se ne abbiano a male lorsignori, ma in effetti proprio le phisique du rôle del sovversivo, ancorché padano, non ce lo avevano, nemmeno allora, quattordici anni e chissà quanti chili fa. La pancia di Gian Paolo Gobbo, la pelata di Marco Formentini, l’occhiale quadrato di Alberto Mazzonetto. In nessun caso avrebbero potuto somigliare, con o senza camicia verde, ai membri di una struttura paramilitare fuori legge, Mario Borghezio della Guardia Nazionale Padana come Bobby Sands dell’Ira, eddai non regge. Epperò, certo, non è che la magistratura possa giudicare dalle facce. Tocca indagare. E così han fatto. Quattordici anni con l’ergastolo a penzoloni sulla testa li hanno tenuti, quei 36 militanti leghisti accusati di aver fatto parte della Gnp. E adesso l’incubo è finito solo perché il reato è stato abolito per legge.
Correva l’anno 1996. Nel 1996 Romano Prodi non era ancora in Africa e stava a palazzo Chigi, Fausto Bertinotti faceva ancora politica e non era ancora extraparlamentare, Gianfranco Fini era ancora amico di Silvio Berlusconi, Umberto Bossi non aveva ancora i capelli grigi e per la prima volta dichiarava l’indipendenza della Padania. E poi la mucca pazza impazzava, la Germania vinceva i Mondiali, i Take That si scioglievano, in Russia si tenevano le prime elezioni libere per il presidente della Repubblica. Quattordici anni, tutta la vita. E loro sempre lì, alla sbarra. Associazione a carattere militare con scopi politici, li aveva accusati l’allora procuratore di Verona Guido Papalia, quello che nei comizi il Senatùr apostrofava a pernacchie ogni volta, con mano a megafono: «Papaliaaa? Prrr».
I 36 rinviati a giudizio per aver fatto parte della Guardia Nazionale Padana, le Camicie Verdi, verranno probabilmente assolti il prossimo 19 novembre. Perché forse, quasi sicuramente, il fatto neppure sussiste, ma di certo il reato è in via di abolizione: l’8 ottobre entrerà infatti in vigore il nuovo Codice dell’ordinamento militare che abroga un centinaio di vecchie normative, tra cui l’associazione militare. Il condizionale è d’obbligo, visto che ieri il ministero della Difesa ha parlato di «errore», chiedendo una rettifica alla presidenza del Consiglio.
Nell’attesa di scoprire se questo sarà o meno l’ultimo intoppo dell’odissea giudiziaria, è polemica. Il Fatto quotidiano parla di «legge ad Legam», e segnala il rischio «depenalizzazione di un reato gravissimo e, purtroppo, attualissimo». In realtà, quella che Marco Travaglio presenta come «norma ben nascosta in un decreto omnibus», sulla Padania proprio nascosta non è, visto che apre l’edizione e poi occupa due paginate di spiegazioni e interviste. L’assunto è che, come annota l’avvocato e sindaco di Varese Attilio Fontana, «ci sarebbe potuta essere tranquillamente l’assoluzione piena e completa, ma per tanti giovani e meno giovani chiamati a giudizio, prolungare questa agonia per qualche altro anno avrebbe comportato una sofferenza inutile». È la fine di «una lunga vicenda giudiziaria incredibile», aggiunge. «Avevo tre ergastoli sulla testa, è la fine di un incubo» si sfoga Mazzonetto, capogruppo del Carroccio a Venezia. Che poi, domanda il quotidiano di via Bellerio: quanti soldi pubblici sono stati spesi per portare avanti un’indagine che mirava a dimostrare l’esistenza di una «terribile associazione paramilitare» e invece non è incappata «nemmeno in una scazzottata»? Bastava dire, a un certo punto, «ci siamo sbagliati», scrive Paolo Bassi.
E invece hanno indagato per 14 anni.

Con il grande spiegamento di forze inquirenti che, partito a caccia di proiettili e piani eversivi, dopo ogni sequestro tornava con le pive nel sacco: adesivi e spillette col sole delle Alpi, bandiere con un pericolosissimo (ancorché deceduto da un po’) Alberto da Giussano, persino un elenco di nomi di personaggi certo da sorvegliare come i ragazzi cui uno dei facinorosi indagati aveva fatto lezioni di catechismo.

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