Addio a Nunzio Gallo, un ottantenne di «Sedici anni»

Se n’è andato a mezzo secolo dalla sua prima vittoria sanremese - Corde della mia chitarra, partner di lusso Claudio Villa - e a quarantasei anni dal suo più assoluto successo, Sedici anni, Nunzio Gallo, voce stentorea d’un passato che non torna se non nella mestizia dei necrologi e nella nostalgia dei sempre più rari superstiti. Avrebbe compiuto ottant’anni a marzo, e contava ancora tanti ammiratori tra i vecchi della sua Napoli, sebbene il tempo avesse reso tremolanti quegli acuti possenti che tra la fine degli anni Quaranta e l’avvio dei Sessanta ne avevano motivato la popolarità.
Ché apparteneva, Nunzio Gallo, a quella generazione di cantanti lirici mancati, o tornati alla lirica dopo il defluire del successo canzonettistico, che includeva tra gli altri Luciano Virgili, Tullio Pane, Arturo Testa e in fondo lo stesso Villa, con la sua bellissima voce da tenore di grazia. Gallo era un baritono, aveva studiato al Conservatorio, era stato lì lì dall’entrare in Rai e alla Piccola Scala poi l’urgenza di mantenere una famiglia numerosa - i genitori fruttivendoli e cinque fratelli - lo aveva costretto alla musica leggera. Esordì nel ’50 in una rivista di successo, Carosello napoletano, recitò con Anna Magnani in Chi è di scena? di Luigi Cimara, vinse la sua prima Canzonissima, nel ’56, con Mamma, grande hit di Beniamino Gigli. Poi i trionfi negli Usa e in Canada, nonché, condiviso con Aurelio Fierro, il successo di Vurria, più avanti ripresa perfino da Mario Del Monaco. Infine, nel ’61, il boom di Sedici anni: «Non devi pianger mai così/hai l’età del sorriso, non intristire», cantava Nunzio con la sua voce corposa e vibrante, e intanto vedeva accendersi attorno a sé l’astro abbagliante di Mimmo Modugno, quello non meno lucente di Adriano Celentano, e i Bindi, i Paoli, gli Endrigo, i Tenco. E capiva che, per quelli come lui, l’èra delle vacche grasse stava ormai tramontando, «mi riusciva difficile intendere che si potesse cantare come Celentano - disse in un’intervista - ma compresi che quel ragazzo era l’alfiere d’una nuova moda, che avrebbe cancellato tutti i vecchi schemi della melodia all’italiana. Infatti arrivò il momento che i giovani non sapevano neppure chi io fossi, soltanto i vecchi mi fermavano per strada».
Più intelligente di tanti altri colleghi, Gallo ebbe il buon senso di non tentare una difficile sopravvivenza canzonettistica: si reinventò come interprete di sceneggiate - Nino d’Angelo è suo genero - e organizzatore di spettacoli, fino alla partecipazione, come attore, a Festa di Piedigrotta di Raffaele Viviani, regia di Roberto De Simone. E siamo nel 1980.

Le esibizioni canore dell’ex superstar sono rare e occasionali, ma lui non smette di esercitarsi ogni giorno in due ore di vocalizzi, come i cantanti d’opera ancora in attività.
De Simone lo riporterà ancora in scena nel 2002, al mitico Trianon per uno dei suoi ultimi spettacoli, all’insegna del belcanto, dell’amarcord e della immortale tradizione napoletana.

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