Barcellona - L’ex presidente del Cio,
Juan Antonio Samaranch, è morto oggi a Barcellona nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale
Quiron dove era stato ricoverato per "un'acuta insufficienza coronarica". Lo hanno riferito fonti
ospedaliere.
Un passato da falangista Il
suo oscuro passato con la camicia azzurra da falangista se l’è portato addosso per tutta la vita,
fino alla tomba. Ma da quel suo torbido passato a fianco dell’ex dittatore spagnolo Francisco
Franco è riuscito comunque a uscire, da quell’abile tessitore di trame politiche che è sempre stato.
Con la morte di Juan Antonio Samaranch finisce probabilmente un’epoca.
La sua lunga stagione da "Signore degli anelli" è durata 21 anni.
Sport e business Con lui il Cio è è diventata una
macchina da soldi mostruosa rappresentando più Paesi addirittura dell’Onu (205 contro i 192 del
Palazzo di Vetro). Un pregio da un lato che ha fatto arricchire molti, trascinando il movimento
olimpico nel lusso e talvolta nello sfarzo. Fino ad arrivare a eccessi tutt’altro che imprevedibili come
lo scandalo di Salt Lake City.
Tra il 1998 e il 1999 si scoprì che alcuni membri avevano ricevuto in regalo tangenti e
prestazioni sessuali da parte del comitato organizzatore dei Giochi invernali. Il Cio espulse i
membri corrotti, Samaranch reagì scusandosi di fronte al mondo, ma anche riformando il sistema
di scelta delle città: non più il Cio a decidere, ma una commissione elettiva, composta da otto
membri eletti dal congresso.
E anche allora salvò la sua poltrona fino alla scadenza nel 2001, quando gli subentrò Jacques
Rogge.
Una dinastia di successo Ma nelle segrete stanze del potere sportivo la dinastia dei Samaranch è rimasta: suo figlio
è diventato membro e tra l’altro si chiama come suo padre, che fino all’ultimo è rimasto nella
’famiglià come presidente onorario.
Il sigillo di Juan Antonio Samaranch sul Cio rimarrà probabilmente incancellabile. Basti dire
soltanto che i suoi 21 anni di presidenza sono il periodo più lungo della storia dopo Pierre de
Coubertin. E forse non è un caso che il padre dei Giochi dell’era moderna fosse un barone, mentre
Samaranch era marchese.
Nato il 17 luglio 1920 da una famiglia di industriali tessili. Sposato con Maria Teresa
Salisachs-Rowe, due figli: Maria Teresa e Juan Antonio, che è sposato con una romana.
Gioventù da sportivo In
gioventù praticò hockey a rotelle, pugilato, calcio, vela, sci, golf ed equitazione. Aveva l’hobby
dell’arte e della filatelia ed era un maniaco del computer. Da vero poliglotta parlava spagnolo,
francese, inglese, oltre al catalano, ma si esprimeva anche in russo, tedesco, italiano. Ha fatto il
professore d’economia, l’industriale, il consigliere di istituti di credito. La sua passione politica lo
fece infiammare da giovane per Franco capeggiando cortei fascisti a Barcellona.
Fedelissimo, amico e ministro del dittatore alla cui morte si inventò una nuova carriera. Ma nei
suoi 21 da presidente fu grande amico dell’Italia e del Coni.
Nel 1980, quando fu eletto presidente, il Cio stava attraversando uno dei suoi momenti più difficili
della storia tra fratture e boicottaggi. L’allora presidente irlandese lord Killanin definì la cerimonia di
apertura dei Giochi di Mosca "la più imbarazzante della storia", a causa del boicottaggio
americano dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan (ma alla fine furono 57 Paesi che
boicottarono quelle Olimpiadi: oltre agli Usa c’erano anche Cina, Giappone e Germania Ovest).
L'ultima battaglia Da
allora iniziò un lento lavoro diplomatico: il suo capolavoro politico avvenne nel ’92 ai Giochi della
sua Barcellona. Prima di allora lo sport a cinque cerchi poteva essere soltanto un evento ristretto
allo sport dilettantistico. In quell’occasione si decise la fine della Regola 26 della carta olimpica e
l’abolizione dello status di dilettante. Simbolicamente la svolta fu l’arrivo ai Giochi del Dream Team
americano di basket composto dalle stelle della Nba guidato da Michael Jordan.
L’altra guerra che iniziò fu quella al doping, dopo il clamore del caso Ben Johnson a Seul.
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