Adesso la Svizzera dà lezioni di felicità (ma solo a scuola)

Per noi italiani, la felicità è una pulsione istintiva, vitale. Qualcosa che perdipiù è gratis, nell'aria. Per i francesi sta probilmente in quella quotidiana e peccaminosa dose di burro che iniziano a ingurgitare fin dal mattino, con i loro croissant. Per gli americani, invece, è fin dal 1776 una cosa così tremendamente seria da averla posta in cima ai diritti inalienabili dell'uomo nella Dichiarazione di Indipendenza. Nero su bianco. Per ognuno, a qualsiasi latitudine, la felicità è insomma qualcosa. E per gli svizzeri? Per loro, che forse ancora non ci avevano pensato, da ieri è una materia che si potrà imparare a scuola. Facoltativamente.
Stando a quanto se ne sa, saranno gli studenti degli istituti secondari e professionali del Canton Argovia, uno dei più settentrionali della Confederazione, a fare da volontari pionieri in queste inedite lezioni. L'iniziativa si deve a tre deputati dei Verdi. Iniziativa senz'altro lodevole, dato che si prefigge di diffondere valori ben più profondi di quelli ahimè superficiali di una società - perdipiù globale - dove a tirarci su non ci sono più dei responsabili fratelli maggiori, ma soltanto dei decerebrati Grandi Fratelli. Scopo finale, dicono i promotori svizzeri, è dare alle giovani generazioni gli strumenti utili per poter scrivere correttamente la parola «Glück» (felicità, appunto) sulla grande lavagna della vita.
I tre deputati, nella loro mozione al governo cantonale, sono partiti dalla definizione stessa di felicità. «Una faccenda impegnativa», l'hanno chiamata. Faccenda alla quale - lamentano - sembrano purtroppo essere sempre meno dediti non soltanto gli allievi, ma quel che è peggio gli stessi insegnanti. Varrebbe quindi la pena, vien da dire, che questo modulo didattico uscisse dai confini elvetici per diffondersi un po' dovunque. Magari anche tra noi italiani, che della felicità ci riteniamo (e veniamo peraltro universalmente ritenuti) gli insuperabili maestri.
L'idea di fornire a tutti, fin dagli anni della scuola, questo abc della felicità, non è tuttavia made in Switzerland. Gli stessi parlamentari del Canton Argovia hanno infatti ammesso di aver preso spunto da un'analoga esperienza in corso da qualche tempo a Heidelberg, in Germania, alla Willy Hellpach Schule. Il cui preside, il professor Ernst-Fritz Schubert, aveva letto con viva preoccupazione i risultati di un sondaggio condotto tra i liceali della vicina Austria. Ne emergeva che i ragazzi mettevano la scuola al secondo posto, subito dopo il gabinetto del dentista, come il luogo nel quale si sentivano meno felici.
C'era insomma di che correre ai ripari. E così, da due anni, al liceo di Heidelberg, una sessantina di ragazzi frequenta facoltativamente tre lezioni settimanali su argomenti quali «Il piacere della vita», oppure «Il piacere delle proprie prestazioni», anche se non è dato sapere di quale piacere esattamente si tratti, né tantomeno di che tipo di prestazioni. Quello che invece si sa per certo è che gli studenti che hanno seguito queste lezioni hanno poi dato prova di una maggiore motivazione all'apprendimento, di superiore competenza in campo sociale, nonché delle più generali e gratificanti sensazioni di soddisfazione e sicurezza di sé.
Andando a documentarsi, si scopre poi che almeno un altro esempio analogo è attivo altrove, in Europa. Per la precisione al prestigioso liceo del Wellington College di Crowthorne, nel Berkshire britannico, dove la materia è stata affidata addirittura al professor Nick Baylis, luminare dell'Università di Cambridge. Il quale impartisce ai ragazzi una lezione settimanale di una materia che lui non chiama semplicemente «felicità», ma più accademicamente e pomposamente «psicologia positiva».

Questo perché, spiega convinto il preside del Wellington, sir Anthony Seldon, lo scopo primario di una scuola, «è formare i ragazzi affinché diventino adulti felici e dalla personalità solida».
Sacrosanto. Anche perché, per ribadirla con Oscar Wilde, «per essere felici bisognerebbe vivere, mentre la maggior parte della gente si limita ad esistere». E questo è più che sacrosanto.

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