Adotta un bambino e lo massacra di botte

RomaLo aveva adottato soltanto tre mesi fa. Lui ha cinque anni ed è del Burkina Faso. Lei è una nigeriana di 50 anni, sposata da 25 con un impiegato di Viterbo. Ora la donna è in carcere con l’accusa di aver massacrato di botte il suo bambino. Voleva punirlo per una «marachella», per poco non lo ha ucciso. Poi, per non essere scoperta, ha inventato una storia inverosimile a cui la polizia non hanno creduto neppure per un attimo. Il piccolo, inizialmente ricoverato in condizioni gravissime in terapia intensiva, sta meglio. È stato lui stesso a raccontare agli inquirenti che a ridurlo così era stata quella madre conosciuta da poco: «Mi ha picchiato la mamma, mentre urlava “ti ammazzo”».
L’ok all’adozione tanto desiderata era arrivato nel novembre del 2009, nemmeno tre mesi fa. L’inspiegabile gesto di follia risale invece alla sera del 2 febbraio, quando un automobilista chiama il 113 segnalando di aver visto un bambino riverso in una pozza di sangue in una strada di campagna lungo la provinciale Tuscanese, alle porte di Viterbo. La donna, titolare di un negozio di fiori vicino al cimitero cittadino, avrebbe colpito il piccolo alla testa con un oggetto contundente, forse un sasso, provocandogli un profondo taglio dalla fronte alla nuca e lesionandogli gravemente il fegato. La madre gli avrebbe ripetutamente sbattuto la testa a terra. Poi, risalita in macchina, avrebbe fatto manovra, lasciando il figlio in fin di vita sulla strada al buio. Mentre stava per ripartire - secondo la ricostruzione fatta dalla squadra mobile di Viterbo - è sopraggiunto un automobilista. L’uomo vede il bambino coperto di sangue, si ferma e chiama subito la polizia. A quel punto la nigeriana è costretta a cambiare programma. Scende dalla macchina, carica il bambino sul sedile e, scortata dagli agenti, lo porta all’ospedale di Belcolle, dove racconta che il bambino era stato investito da un pirata della strada. «Doveva fare la pipì - dice - l’ho fatto scendere e mentre stavo facendo manovra è passata una macchina che lo ha travolto ed è fuggita via». Una versione piena di contraddizioni, che non convince, soprattutto perché il luogo dove è stato trovato il bambino si trova all’interno, molto distante dalla provinciale, mentre per far fare la pipì al bambino avrebbe potuto fermarsi sul ciglio della Tuscanese. L’automobilista di passaggio, inoltre, non ha incrociato nessun’altra auto. Le condizioni del piccolo sono gravissime, tanto che i medici decidono di trasferirlo in eliambulanza al Gemelli di Roma. Se non fosse passato quel tale in auto, diranno poi i dottori, il bambino sarebbe morto dissanguato. Appena le sue condizioni lo consentono, gli uomini della sezione tutela minori della mobile di Viterbo vanno nel reparto di terapia intensiva per interrogare il piccolo con l’aiuto degli specialisti di neuropsichiatria e di un interprete, in quanto il bambino parla solo il morii, un dialetto del suo paese. Quando apre bocca i sospetti trovano conferma. «Mi ha picchiato la mamma perché avevo fatto una marachella. Mi colpiva e urlava “ti ammazzo”», racconta mentre mima le botte ricevute colpendo un orsacchiotto di peluche con una piccola lavagna. Il racconto viene ritenuto credibile. La sera stessa scatta il fermo della donna, che viene rinchiusa nel carcere di Civitavecchia senza neppure abbozzare una difesa. Agli investigatori non ha voluto rispondere. Il marito, che quel giorno era in ospedale per un piccolo intervento, inizialmente aveva creduto alla storia del pirata della strada.

Quando ha capito che non si era trattato di un incidente è rimasto senza parole e non ha saputo dare alcuna spiegazione al fatto, anche perché la moglie, assieme a lui, aveva fatto molti sacrifici per adottare il bambino. Incredule anche le assistenti sociali del Comune di Viterbo: «Non possiamo dire nulla sul caso, ma la storia ci sembra inverosimile».

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