Afghanistan, ora la guerra è tra i comunisti

Di Pietro se la prende con i senatori della sinistra radicale contrari alla missione: «Questo è un caso di infantilismo politico»

Luca Telese

da Roma

Più che «folcklore» - come disse indimenticato Romano Prodi - stavolta si tratta di «furore». Divampa ancora una volta la guerra tutta comunista fra Rifondazione e Pdci e si infiamma, ovviamente, sul tasto dolentissimo della missione afghana.
Tutto parte da una appassionata riunione romana, quella del partito di Oliviero Diliberto e Marco Rizzo. Malgrado il caldo e i Mondiali, con l’unica eccezione di Armando Cossutta - malinconicamente assente dopo le dimissioni dalla presidenza - i comunisti italiani avevano riunito il vertice. Tutti compatti dietro il segretario, grandi approvazioni, nella sala del Centro Congressi Cavour, per la linea «dura» scelta dal leader, da Marco Rizzo e dalla capogruppo al Senato Manuela Palermi e dall’ex sottosegretario Jacopo Venier giovane emergente del nuovo gruppo dirigente. A metà mattina la Palermi, (che è anche direttora di Rinascita) esce dalla riunione a porte chiuse e si abbandona ad un sospiro eloquente: «Punto primo, il decreto, così com’è non va. Punto secondo, i compagni sono d’accordo al 100%. Morale della favola: Prodi ci deve dare qualcosa, così non si va da nessuna parte».
Ovvero il Pdci non si accontenta. All’ora di Pranzo esce anche Diliberto. Sorriso dei suoi, conferenza stampa gagliarda per piantare i paletti che condizionano il sostegno del suo partito: «Io non mi metto a fare giochini, e questo è il mio governo, Però... Però «il Pdci non regala consensi a scatola vuota». Subito dopo il segretario svuota il suo cahier de doleances. I voti centristi? Non ne vuole nemmeno sentir parlare: «Se quelli vogliono darli lo stesso sono cavoli loro. Ma Prodi non solo non li deve accettare. Li deve esplicitamente rifiutare!». Per via del vostro ultimatum? (Sorriso western): «Per il suo stesso bene». Diliberto continua: «Siamo a metà dei lavori, ma credo di poter dire tranquillamente che c’è quasi totale unanimità. Per noi la missione afghana è una missione di guerra». Inutile chiedergli se si riferisca alla missione Aisaf o allo spezzone italiano di Enduring freedom. (Altro sorriso): «Mi riferisco a entrambe». E non solo a quelle: «Posso dire che trovo... “gigantesco“ e incredibilmente sottovalutato quel che accade in queste ore in Palestina? Come definiscono, questo governo e la Nato uno stato che invade un altro stato arrestando mezzo governo?».
Dopo la grande offensiva, arriva l’affondo più delicato, quello su Rifondazione e le altre formazioni della sinistra radicale, volutamente non citate, ma chiaramente riconoscibili: «Mi risulta bizzarro che forze politiche che per otto volte hanno votato contro la missione in Afghanistan, ora la votino e si spingano a dire che è una missione di pace».Il punto è fin troppo delicato perchè non arrivi una replica, Diliberto lo sa benissimo, e per quanto stemperi i toni («Ci sono anche altre forze, per la verità...»), la reazione è immediata. Se ne incarica Giovanni Russo Spena, capogruppo del partito bertinottiano a palazzo Madama, nonchè regista dell’accordo. A lui la stoccata di Diliberto proprio non va giù: «Quando si dice stupito per il voto del Prc e dei Verdi a favore della missione dopo otto voti contrari, l'onorevole Diliberto - sottolinea Russo Spena - finge di ignorare quel che sa benissimo e di non capire quel che capisce perfettamente. Il Prc non si è schierato a favore della missione in Afghanistan. Al contrario - spiega l'esponente di Rifondazione - ha impedito che si realizzasse quel più massiccio coinvolgimento dell'Italia nella missione richiesto fino all'ultimo minuto dal comando Nato». Ovviamente anche l’ex segretario di Democrazia Proletaria si toglie un sassolino dalla scarpa nei confronti di Diliberto: «Fingere di non vedere i passi avanti compiuti in tempi molto brevi e assumere posizioni che minacciano di azzerare tutti i progressi fatti rivela solo un cinismo politico tanto estremo quanto di piccolo cabotaggio». 
In meno di mezz’ora le agenzie si incendiano di dichiarazioni infuocate: «Russo Spena attacca per nascondere le contraddizioni di Rifondazione», osserva Venier. E attacca ancora il responsabile dell’organizzazione Severino Galante: «Capisco la disperazione di Russo Spena: dopo aver affossato un governo di centrosinistra (Prodi) per strappare le 35 ore e dopo aver calunniato i Comunisti italiani come guerrafondai perchè stavano nel governo D'Alema che partecipò alla guerra contro la Serbia, ora gli tocca sostenere il governo Prodi e approvare la politica militare di D'Alema sull'Afghanistan». Non meno duro lo scambio di accuse fra il ministro Antonio Di Pietro e uno degli «otto» senatori della sinistra radicale che rifiutano il compromesso, Claudio Grassi: «Il loro è infantilismo politico», dice il primo.

«Cominci con far dimettere il suo senatore De Gregorio, eletto alla testa della commissione Difesa con i voti del centrodestra»; ha ribattuto il secondo. Comunque vada, qualcuno resterà «ferito» in mezzo al campo dell’Unione.

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