Afghanistan, per la sinistra radicale il ritiro diventa un sogno impossibile

Luca Telese

da Roma

Il sogno della sinistra radicale ora ha un nome: «emendamento-ritiro». È, in sostanza, quel che hanno chiesto i capigruppo di Prc e Verdi di Camera e Senato, in un serrato incontro col ministro della Difesa Arturo Parisi. La possibilità di votare in Parlamento un emendamento che cancelli dal disegno di legge del governo la quota di finanziamento (oggi raddoppiata). Tutto lascia pensare, malgrado i chiari di luna e le fumate bianche di ieri, che «il sogno» resterà tale.
Ecco perché: il faccia a faccia fra la sinistra radicale e Parisi è stato, in sostanza un meraviglioso vorrei-ma-non-posso fra due posizioni non conciliabili. Il ministro spiegava che il raddoppio del bugdet per il governo è una sorta di atto dovuto, il corollario del comando di turno della missione che l’Italia assume nel mar Arabico. I capigruppo rosso-verdi che per loro quel voto era «politicamente insostenibile». Ed era per certi versi meraviglioso vedere come Gennaro Migliore, Giovanni Russo Spena e Angelo Bonelli, improvvisamente cercavano di calarsi nell’ottica dei comandi: «Il raddoppio del finanziamento di questo secondo semestre - spiega Migliore - da una parte è dovuto alla continuità con la missione precedente, dall'altra al fatto che dal 28 giugno l'Italia ha il comando di una squadra». E poi, per quel che riguarda le navi nel Golfo Persico: «Parisi ha ribadito che avrebbero il compito di operazioni di pattugliamento contro la pirateria. D'altro canto - spiegano i capigruppo - questo è quel che c'è scritto nel decreto legge». Ma come spiegarlo a una base sempre più convinta del ritiro? Come convincere le associazioni pacifiste che anche ieri in un incontro con i parlamentari di Rifondazione chiedevano di non accettare compromessi? Come abbassare il tiro mentre un intellettuale radical americano amato dalla sinistra come Noam Chomsky arrivava a elogiare gli otto senatori ribelli fino a ieri sconosciuti ai più? Racconta Elettra Deiana, deputata di Rifondazione: «Nell’incontro con i pacifisti Lisa Clarck, dei Beati costruttori di pace ha ripetuto per tutti una richiesta chiara: aumentare i fondi per gli aiuti, diminuire quelli militari, che - secondo le Ong - non sono assolutamente necessarie alla protezione delle missioni. Dove arriva il volontariato, sono le stesse popolazioni a difendere i cooperanti italiani».
Così, i pacifisti e il governo, sono come due treni che corrono in direzione opposta: alla fine dell’incontro Parisi assicurava che avrebbe parlato subito con D’Alema e Prodi delle questioni poste dai capigruppo, e Migliore arrivava addirittura a considerare un possibile voto centrista per la mozione come «un eccesso di autocritica». Anche Russo Spena raccontava che «l’incontro con Parisi si era svolto in un clima costruttivo», sennonché quello che tutti sanno e che nessuno dice è che tutti i dissensi e tutti i sogni di Rifondazione e Verdi, compreso l’emendamento-ritiro, scompariranno in un batter d’occhio di fronte a una eventuale fiducia, a cui nessuno dei partiti radicali (compreso probabilmente, il Pdci) potrebbe sottrarsi.
Così il gioco resta questo: la disponibilità del governo, le professioni di riscrittura della sinistra radicale, e gli appelli a volte un po’ surreali dell’Udc (che da un lato annuncia il voto favorevole al decreto, dall’altro con il suo portavoce, Michele Vietti spiega: «Ci auguriamo che la maggioranza ci metta in condizione di poter esprimere questo sostegno senza partorire testi imbarazzanti» (Splendido).

Ricapitolando: Rifondazione e Verdi non vorrebbero votare (ma voteranno), l’Udc vorrebbe votare (ma non ci riesce), Parisi vorrebbe emendare (ma non cambierà una virgola). L’unica cosa certa è che nel gioco della sedia afghana due su tre resteranno in piedi.

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