Agguati e trappole contro il premier: è l'eterno 25 luglio

Nulla è cambiato dal 1943. Anche oggi per far cadere il premier si preferiscono manovre sotterranee allo scontro a viso aperto. Pure De Gasperi venne silurato dalle insidie dei suoi "amici" della Dc

Agguati e trappole contro il premier: è l'eterno 25 luglio

In Italia nei palazzi del potere è sempre 25 luglio. Come nella notte in cui il Gran Consiglio del fascismo sfiduciò Mussolini, come nel giorno successivo quando il Re impera­tore l’invitò a Villa Savoia e poi lo fece impacchettare su un’am­bulanza, l’avvicendamento av­viene grazie ad agguati, a com­plotti, a trappole. Le truppe fede­li cominciano a sgretolarsi, i cor­tigiani del governo prossimo venturo entrano in azione.

Si dirà, giustamente, che le vi­cende d’una grande democra­zia non hanno nulla a che vede­re con quelle d’una sepolta ditta­tura, e che ogni confronto tra l’attualità e alcune date del pas­sato - non solo il 25 luglio ma an­che l’8 settembre con il «tutti a casa» - è del tutto arbitrario. Ve­ro. Ma è vero anche che la defe­zione d’alcuni parlamentari del Pdl, inserendosi in un momen­to di estrema difficoltà dell’Ita­lia, dell’Europa, del mondo, tra­smette la sensazione che le cir­costanze cambino, ma in una Italia che nel meglio e nel peg­gio - sarebbe bizzarro insistere, con i tempi che corrono, sul me­glio - è ostinatamente coerente, è tenacemente fedele ad alcune massime. Tra le quali campeg­gia solenne e immortale quella « Franza o Spagna purché se ma­gna» .

Non esistono troppe dispari­tà di schieramento o di tempi storici in questo trionfo di mene oscure che precedettero molte cadute di presidenti del Consi­glio. De Gasperi fu silurato, po­chi mesi prima di morire, per le insidie dei suoi cosiddetti amici democristiani. Nel tourbillon di primi ministri che ha caratteriz­zato la prima Repubblica, il col­po basso era la regola. Magari con il ricorso ad armi giudizia­rie. Come avvenne con il proces­so Montesi che prostrò Attilio Piccioni, ministro degli Esteri e potente notabile dello scudo­crociato. Come avvenne con tan­gentopoli e con Craxi. Prodi ci mise del suo nella disgregazio­ne del centrosinistra. Ma dovet­te vedersela con le bizze e risse di partitucoli forti soltanto della loro arroganza ricattatoria.

I maneggi sotterranei, le ca­marille, gli accordi e i passaggi di campo favoriti dal buio not­turno, da spaghetti all’amatri­ciana, da code alla vaccinara so­no la caratteristica d’una classe politica meschina che dalla mat­tina alla sera inneggia al Parla­mento e al suo ruolo centrale in ogni attività istituzionale. Lo vanno dicendo con grande com­punzione, ma nel momento in cui si tratta di proporre una va­riazione degli assetti politici esi­stenti non si alzano in piedi, a Montecitorio o a Palazzo Mada­ma, per far sapere ai colleghi che loro avrebbero un’idea bril­lante sul che fare. Dopodiché l’idea potrebbero esporla e invi­tare chi è d’accordo ad accodar­si. Macché, l’idea più o meno brillante è sussurrata in tratto­ria, la ricerca di adesioni avvie­ne in qualche conciliabolo not­turno. Il Parlamento può atten­dere.

Gli elettori che hanno dato i voti a quel deputato o a quel se­natore sulla base d’un program­ma di partito, e per la fiducia nel capo di quel partito, devono ras­segnarsi a non contare niente. Non c’è nulla di stupefacente, sia chiaro, in questa manfrina cospiratoria.

Ma fa sempre im­pressione la disinvoltura acro­batica con cui gli affiliati a uno schieramento, gli estasiati per le parole del suo leader, d’un tratto recuperano il ben dell’in­telletto e si convertono alla fron­da. Non, ripeto, a Montecitorio o a Palazzo Madama, ma davan­ti a una tavola imbandita. Maga­ri con qualche sregolatezza di linguaggio, intercettata o no.

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