Un agguato mediatico: "La Stampa" fabbrica un falso scoop anti Cav

Berlusconi risponde ad "Avvenire"? "La Stampa" correda il servizio con un incredibile fotomontaggio Truccata la prima pagina del giornale dei vescovi. Per far credere che il Papa attacchi il premier

Un agguato mediatico: 
"La Stampa" fabbrica  
un falso scoop anti Cav

Una cosa così, non l’avevamo mai vista. Una cosa così, non l’avevamo mai nemmeno ipotizzata. Perché agli occhi, al cuore, ma soprattutto allo stomaco seppur corazzato di chiunque abbia alle spalle qualche decennio di carriera giornalistica, una cosa tanto spudoratamente falsa quanto quella pubblicata ieri alle pagine 10 e 11 del quotidiano La Stampa - e aventi Silvio Berlusconi in veste di scontato bersaglio - risulta quanto mai sgradevole.
La «patacca» si trova proprio al centro di quelle pagine. È una fotografia a colori che illustra un riquadrino orizzontale su fondo grigio e titolato in rosso: «Così “Avvenire” sul presidente del Consiglio». A un occhio distratto, niente di che. Tre succinte didascalie per ripercorrere le posizioni assunte dal quotidiano dei vescovi, nella querelle con Berlusconi, rispettivamente il 5 maggio, il 25 luglio e il 12 agosto scorsi. Fin qui tutto normale.
Ma è appunto la foto messa lì a illustrare il riquadro, ciò che sconvolge. Vi appare infatti un’ipotetica prima pagina dell’Avvenire sulla quale campeggia un titolo incredibile, per quanto sfacciatamente falso: «Il Papa a sorpresa: “Silvio ora basta”». E c’è anche un occhiello, rubricato “Il fatto”: «Il Pontefice bacchetta il premier anche sulla Finanziaria. “Mi aveva promesso politiche per la difesa della famiglia. Poi ho scoperto che la famiglia era la sua e quella di suo fratello Paolo”».
Titolo falso già nei toni, perché mai un pontefice si rivolgerà a un leader politico dalla prima pagina di un giornale. Titolo falso anche nell’etichetta, perché è ancor più difficile che lo faccia dandogli del «tu». Titolo falso come si intuisce dal logo del 40° di vita che compare accanto alla testata dell’Avvenire, giornale che nel 2009 di anni ne ha compiuti invece 42, dimostrando così palesemente le dita sporche di marmellata di chi ha pensato e dato alle stampe una simile bufala.
E dire che nel suo insieme, quella doppia pagina della storica e «autorevole» testata torinese di via Marenco, poteva infatti apparire come un capolavoro di ingegneria redazional-tipografica. Ed essere anche giudicata dagli addetti ai lavori un abile castello fatto di titoli, sommari, retroscena e approfondimenti. Il tutto, confezionato pro domo Stampa attorno alla nota vicenda che ha visto il premier rispondere dalle pagine del settimanale Chi alle considerazioni dei vescovi pubblicate sul quotidiano della Cei.
Sarebbe stato tutto lecito, ci mancherebbe, come è sempre lecito in democrazia essere schierati (ma chissà perché lo rinfacciano soltanto a noi del Giornale?) e nutrire tanto simpatie quanto speculari antipatie, politiche e no. Ma il fatto... o meglio, ciò che da ieri possiamo chiamare «il fattaccio brutto» di via Marenco, è che proprio al centro di quella doppia pagina, sotto la grande foto di un Cavaliere dall’espressione a dir poco stizzita, il quotidiano diretto dal giovane Mario Calabresi abbia toccato un’inimmaginabile vetta di falsità. Più che vetta, un abisso.
Che il titolo sia fasullo, lo ha confermato del resto al Giornale lo stesso Avvenire, per bocca del caporedattore degli Interni, Luciano Moia. «Figuriamoci se si può virgolettare così una frase in prima pagina, attribuendola perdipiù a Benedetto XVI. Il Papa non si occupa certo di queste cose - è sbottato -. Il direttore non è in redazione, ma vi posso assicurare che il clima da noi è di profonda irritazione. Sembra proprio una cosa fatta apposta, e non si capisce perché».
Ci scuserà, il collega Moia, ma noi quel «perché» abbiamo la presunzione di capirlo. Perché quel titolo così marchianamente falso racchiude comunque una sua dose di verità. Perché dietro a quel potenziale premio Pulitzer alla «patacca» si nascondono anche quel pensiero fazioso e quell’astio un po’ ebete (chiamiamolo col suo nome) che ancora allignano nelle redazioni di alcuni giornali. Dispiace quindi che un esempio concreto di quel clima sia venuto proprio dal quotidiano diretto da Calabresi il cui papà, il commissario Luigi, fu assassinato nel maggio ’72, a Milano, da una mano spinta - guarda caso - proprio dall’odio instillato da un giornale.
Assente ieri sera Calabresi, è toccato a uno dei vicedirettori, Giancarlo Laurenzi, dare una spiegazione. «È stato un nostro errore, una figura di m...

Una collega ha fatto finire in pagina uno dei tanti falsi presi da Internet - si giustifica -. Abbiamo sbagliato e fatto già le nostre scuse al direttore dell’Avvenire, che le ha accettate. Da parte nostra non c’era alcun intento».
Guido Mattioni

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