Aldo Rossi, l’architetto dai forti contrasti

Tra i suoi lavori in città il quartiere Gallaratese e anche il «discusso» monumento a Pertini

Dimenticare Pertini. Pochi architetti come Aldo Rossi hanno dovuto convivere nell’ultima parte della loro vita con un’opera discutibile (o mal compresa) quale fu il monumento eretto in ricordo del presidente della Repubblica in largo Croce Rossa angolo via Manzoni.
Ma in realtà Aldo Rossi di cui ora ricorre il decennale dalla morte fu uno dei Maestri del XX secolo dell’architettura italiana e internazionale, un docente universitario di grande fascino, un autore di libri e di saggi su cui si sono formate più generazioni. Come testimonianza della sua opera nella nostra città basterà ricordare l’unità residenziale del quartiere Gallaratese, l’hotel Duca d’Aosta, l’ampliamento dell’aeroporto di Linate.
Ma tra i suoi edifici spiccano il cimitero di San Cataldo a Modena, il teatro del Mondo e la Fenice di Venezia, il Carlo Felice di Genova, il «Palazzo Fukuoka» in Giappone, il complesso per la Friedrichstadt a Berlino, l’isolato Schützenstrasse e quello di Leipzigerplatz, nonché il Deutsches Museum sempre nella capitale tedesca, gli uffici per la Walt Disney in USA, il Bonnefanteun Museum a Maastricht in Olanda. Il suo amore per il lago Maggiore lo portò a creare il Parco Tecnologico a Verbania e l’Istituto universitario Carlo Cattaneo a Castellanza. Tutte le sue opere hanno contribuito a fargli vincere il Pritzker Prise nel 199O e altri importanti riconoscimenti.
Nato nel 1931 a Milano passò la sua vita tra il capoluogo lombardo e New York fino a ottenere la cattedra al Politecnico sia a Milano che a Venezia. Insegnò a Zurigo anche, alla Yale, alla Harvard e Cranbook. Mori nel 1997 a causa di un incidente stradale. Marco Brandolisio che gli ha lavorato accanto per anni nello studio di Santa Maria alla Porta al n.9, sostiene che la sua architettura andava di pari passo con la storia e la città. «Memoria civile ed edificio erano visti come testimoni di un’“umana presenza”. Ne usciva un linguaggio fatto di reperti dove memoria e citazioni avevano una continuità sposandosi all’architettura moderna i cui fondamenti tecnici non erano basati sul post-modernismo. Rossi detestava questo termine che non riteneva proprio». Francesco Dal Co che lo ha sempre stimato ha dato alle stampe l’opera completa in tre volumi edita da Electa. «Non sono post moderno», diceva Rossi. Rifiutava la catalogazione stilistica perché credeva nella ricerca e nella continuità dell’architettura attraverso la storia. Jacopo Gardella lo ricorda come una personalità eccezionale, anche se con dei forti contrasti di carattere e nell’architettura. «Di grande rilievo il suo panorama culturale, ricordo la bellezza e la poesia del Museo d’Arte Contemporanea a Vassivière, Clermont Ferrand in Francia e all’inizio di carriera Fagnano Olona. Molto interessanti trovo tutti i lavori a Berlino. Rossi temeva di essere confuso con i post modernisti di gran moda come Portoghesi che stimava però solo come critici».


Marco Albini lo ricorda con due parole: «Un grande teorico che ha creato una forte scuola di pensiero. Adoro il suo quartiere Gallaratese, espressione di un rigore formale di eccellente qualità che ritroviamo anche nella sua mano di creativo come design». La Triennale presto ricorderà oltre l’architetto anche il design.

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