Via all'assalto giudiziario Le mani in tasca a Silvio

Riprende il processo numero 26 nei confronti di Berlusconi. Le condanne? Zero. In aula 132 testimoni, 100mila intercettazioni. Le vittime? Zero. Equivalente al guadagno di 25 anni del suo lavoro

Via all'assalto giudiziario 
Le mani in tasca a Silvio

Oggi entra nel vivo a Milano il processo a Silvio Berlusconi per il caso Ruby. Qui non si par­la di inchieste ma della più grande operazione di spionaggio messa in piedi da un potere dello Stato, la magistratu­ra, contro un premier in carica. Spionaggio illegale non sulla sua attività pubblica o im­prenditoriale ma sul suo privato. Manca il reato, mancano le presunte vittime. Nessu­no deg­li oltre cento ospiti della villa di Arco­re chiamati a testimoniare dopo essere stati intercettati e schedati, si è mai lamentato di alcunché. Anzi, semmai dagli atti risulta che Silvio Berlusconi è uno squisito e gene­roso padrone di casa. Lo dice anche la famo­sa Ruby, unica minorenne agli atti, la quale ha aggiunto di aver mentito al premier e a tutti sulla sua età e sulle sue generalità.

Quel­lo che si apre è quindi uno spettacolo di giu­stizia mediatica, frutto del protagonismo e dell'odio di pm spregiudicati. Siamo al pro­cesso numero 26 in diciotto anni, senza che l'imputato sia mai stato condannato una so­la volta. In compenso una condanna di fat­to c’è stata eccome. Per difendersi Berlusco­ni ha dovuto sborsare oltre trecento milioni di euro ad avvocati e consulenti. Che se som­mati al risarcimento- rapina di seicento mi­lioni nella causa civile con De Benedetti, fanno un miliardo di euro (duemila miliar­di di lire). È una cifra spaventosa - sarebbe un pezzo importante della manovra econo­mica - pari a venticinque anni di utili che Berlusconi ha guadagnato come imprendi­tore. Mezza vita lavorativa bruciata per di­fendersi dall'accanimento giudiziario.

Ma non paga di avergli messo pesantemente le mani in tasca e impunita per i suoi errori, og­gi su Berlusconi la magistratura mette in scena il suo ultimo spettacolo. Un branco di guardoni in toga proveranno a farci entrare nel letto del presidente.

Per poi dire, assie­me ai loro soci dell'opposizione, che un Pae­se normale non può rimanere inchiodato ai fatti privati del premier. Appunto, non può. In un Paese normale nessun pm avreb­b­e potuto fare come la Boccassini e compa­gni. Li avrebbero cacciati con infamia dalla magistratura per attentato contro lo Stato.

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