Alleluia: da oggi lavoriamo per noi

Non fate quella faccia. Vi sembra un lunedì particolarmente faticoso? Vorreste essere al mare? Oppure a passeggiare nel fresco dei monti? L'afa della città vi opprime? La cravatta vi sembra insopportabile? Il capo è più rompiscatole del solito? L'ufficio vi sta stretto come un fuseau a Diego Maradona? Non importa: sorridete alla vita. Oggi, 16 luglio 2007, è un giorno di festa: se gli arditi calcoli non hanno sbagliato, a fine giornata potremo mettere in tasca quel che abbiamo guadagnato. Che c'è di strano? Semplice: che fino a ieri non era così. Fino a ieri abbiamo lavorato solo ed esclusivamente per lo Stato.
Gli americani lo chiamano «Tax Freedom Day», il giorno della liberazione dalle tasse. Come espressione, ci sembra un po' ottimistica: liberarsi dalle tasse? Ma quando mai? Comunque è un giorno da festeggiare, il Natale del contribuente: l'anno scorso era fissato intorno al 24 giugno. Quest'anno, secondo alcune attendibili interpretazioni, è stato spostato più in là di 20 giorni: un grande balzo in avanti. Anzi, un grande balzello.
Merito del governo Prodi, naturalmente, che è un po' come Attila: dove passa non cresce più nulla. A parte le imposte, s'intende. Ora io non voglio addentrarmi nell'aritmetica sadica applicata al portafoglio. E, per dirla tutta, mi sembra che già lavorare per sua maestà il fisco fino al 20-24 giugno, com'era negli anni scorsi, fosse un'esagerazione più difficile da digerire che una peperonata con bagna cauda in una sera di luglio. Allora chiedo: come ci si è potuti spingere fino a metà luglio? Per la risposta citofonare Visco. O, in alternativa, guardare al proprio portafoglio.
Il risultato è che, secondo le pregiate stime, ogni italiano lavorerebbe ormai 196 giorni per lo Stato e solo 169 per sé. Da oggi per sé. Fino a ieri per lo Stato. Praticamente è un sequestro. Ma sì, dai: siamo ostaggi, prigionieri di un sistema tributario che si è eletto socio di maggioranza del nostro bilancio familiare, vittime di un erario che non esita a metterci le mani in tasca per portarci via il sangue e darci in cambio servizi da Burundi (senza offesa per il Burundi). La situazione impone una pausa di riflessione. Speriamo che, nel frattempo, non tassino pure quella.
Diceva Kennedy: non chiedere quello che lo Stato può fare per te, chiedi quello che tu puoi fare per lo Stato. Ora però bisognerebbe dire: chiediti quello che lo Stato ti sta facendo. Per carità: pagare le imposte è sacrosanto. Ma alzarsi ogni mattina che il buon Dio manda sulla terra, per sei mesi e più, pensando che tutto quello che si fa, si produce e si guadagna, finisce risucchiato dall'idrovora di Visco, beh renderebbe nervoso anche un monaco tibetano specializzato zen.
Buon 16 luglio, allora, e buon lavoro. Almeno oggi sorridete. E non importa se in altri Paesi d'Europa (come Spagna e Irlanda), questo giorno di festa è stato celebrato già a maggio. Non importa nemmeno se negli Stati Uniti non tollerano che la liberazione fiscale scivoli oltre aprile. Per oggi non ci pensate. Lavorate e siate felici: lo Stato vi lascerà qualcosa in tasca. Non è meraviglioso? Amaro eppure bellissimo. Viene in mente quel bimbo che, giocando vicino al fiume, vide un uomo che stava annegando e lo salvò.

L'uomo ringraziò. «Sono il ministro delle Finanze di questo Paese. Dimmi che cosa vuoi, qualsiasi cosa, e ti accontenterò». Il bimbo lo guardò e sorrise: «Non voglio nulla. Basta che non dica a mio padre quello che ho fatto».

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