Altro che clima, fanno solo infuriare: l'errore degli estremisti green

Gli attivisti di Just Stop Oil continuano con le proteste: ma imbrattare quadri di fama mondiale non serve a sensibilizzare sul riscaldamento globale. Ecco perché

Altro che clima, fanno solo infuriare: l'errore degli estremisti green

Gli attivisti di Just Stop Oil continuano con le proteste: prima una delle versioni dei “Girasoli” di Van Gogh, che è stata imbrattata con zuppa di pomodoro lanciata sul vetro protettivo (sì, c’era un vetro e sì, ne erano a conoscenza); poi una torta sulla faccia di cera di re Carlo III al Madame Tussauds, non propriamente un’opera d’arte, ma ha la sua simbologia.

"L'arte vale più della vita? Più del cibo? Più della giustizia?", le abbiamo già lette ovunque, e sappiamo anche che le loro mani erano incollate al muro mentre esponevano le ragioni del gesto. È ormai chiaro che l’intento era quello di attirare l’attenzione su problemi di estrema rilevanza: "Va bene che Liz Truss stia concedendo oltre 100 nuove licenze di combustibili fossili?" e ancora “Va bene che i combustibili fossili siano sovvenzionati 30 volte di più rispetto alle energie rinnovabili quando l'eolico offshore è attualmente nove volte più economico?".

Parlano dell’ex prima ministra britannica e al piano economico che ha legittimamente spaventato gli ambientalisti. Come il nuovo piano possa coniugarsi con l’obiettivo legalmente vincolante di raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050, infatti, resta ancora un mistero, soprattutto dopo la nomina di Jacob Rees-Mogg, il quale ha più volte messo in dubbio la necessità di affrontare la crisi climatica in passato. Ma facciamo un passo indietro.

Chi sono gli attivisti di Just Stop Oil

Si tratta di un movimento ambientalista anglosassone. È abbastanza esplicito nel nome che il movimento vorrebbe la cessazione dell’utilizzo di combustibili fossili nel Regno Unito. Nello specifico, chiedono che il governo britannico cessi immediatamente tutte le licenze per l’esplorazione, lo sviluppo e la produzione di combustibili fossili, in linea con quanto raccomandato dell’Agenzia internazionale per l’energia.

Nel loro sito scrivono “le prove scientifiche sono inequivocabili: il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e la salute del pianeta. Ogni ulteriore ritardo nell’azione concentrata a livello globale farà perdere una breve finestra che si sta rapidamente chiudendo per garantire un futuro vivibile”. Le loro richieste si sono poi evolute alla richiesta al governo inglese di sovvenzioni per il trasporto pubblico, nuove tasse sui grandi inquinatori e il soddisfacimento dei bisogni energetici di base per tutti i cittadini in difficoltà.

Non sono però solo le azioni nei confronti di opere d’arte note a formare il piano d’azione del movimento. Già in aprile gli attivisti hanno bloccato distributori di carburante, strade, petroliere e impianti petroliferi causando dei cali di distribuzione in diverse aree dell’Inghilterra fino al 40%. Tra le proteste più recenti, non solo l’arte è stata attaccata dal movimento. Gli attivisti si sono dedicati anche alle vetrine di Harrods, il grande magazzino londinese di lusso. Circa venti persone si sono radunate davanti alle vetrine, che sono state ricoperte dalla caratteristica vernice arancione. Due manifestanti sono stati arrestati dalla polizia.

Sempre a Londra, un ragazzo è stato ripreso mentre si arrampicava sul furgone della polizia per esporre lo striscione arancione di Just Stop Oil. Un’altra manifestazione si è svolta ad Hide Park, altri manifestanti si sono incollati all’asfalto per protesta. Anche negli episodi nei musei gli attivisti hanno incollato le proprie mani alle pareti. Il gesto di incollarsi è diventato in qualche modo il simbolo delle proteste di Just Stop Oil ed è metafora dell’immobilità della società nei confronti dell’ambiente.

Negli ultimi mesi, i sostenitori di Just Stop Oil hanno tentato di interrompere eventi e manifestazioni sportive e solo successivamente musei e gallerie d’arte. Il loro scopo era quello di bloccare la viabilità di Londra nel mese di ottobre. E non hanno certamente intenzione di smettere: sul Guardian si legge che solo la minaccia di una condanna a morte avrebbe fermato le loro proteste, esprimendo il disprezzo per il nuovo disegno di legge, Public Order Bill, che avrebbe lo scopo di bloccare le proteste. Ma perché colpire opere d’arte?

L’arte è più importante dell’ambiente?

C’è una vera risposta a questa domanda? La contro domanda sarebbe: è sufficiente imbrattare un’opera d’arte a sensibilizzare sul riscaldamento globale? Se l’obiettivo era quello di attirare l’attenzione sulle loro azioni, imbrattare i Girasoli ha senza dubbio funzionato. Ma le reazioni sono polarizzate, anche tra le associazioni ambientalisti, tra chi li sostiene e chi ritiene che si tratti di un metodo fallace non solo per Just Stop Oil, ma per l’interno movimento di lotta alla crisi climatica.

Le conseguenze più pragmatiche al momento sono state l’arresto di circa 1600 attivisti e più di 70 persone finite in carcere e l’effetto boomerang. Con quest’ultimo si allude ai due attivisti di Letzte Generation (Ultima generazione), un gruppo di protesta per il cambiamento climatico, che hanno imbrattato un dipinto ad olio di Monet della serie dei “Covoni”, situato nel Museo Barberini di Potsdam, in Germania, con del purè di patate. Anche questa volta l’opera era protetta da un vetro e l’intento era quello di “attirare l’attenzione sui cambiamenti climatici che stanno distruggendo il pianeta. Cambiamenti climatici che sembrano scomparsi dall’agenda dei grandi della Terra, complici guerra in Ucraina e inflazione”.

"Questo Monet è un palcoscenico" per trasmettere il loro messaggio, scrivono nel tweet del video dell’accaduto. Ed è esattamente così. Questi quadri sono uno strumento senza il quale le loro azioni sarebbero rimaste nelle cronache dei giornali e non sarebbero un evento mediatico mondiale. Gli attivisti hanno continuato sostenendo che "se è necessario per ricordare alla società che la via del combustibile fossile ci sta uccidendo tutti, allora lanceremo purè di patate su un dipinto". E ancora "siamo in una catastrofe climatica e tutto ciò di cui avete paura è di zuppa di pomodoro o purè di patate su un dipinto", sostiene con forza l’attivista nel video. "Questo dipinto non varrà nulla se dovremo combattere per il cibo".

Vero, ma il rischio è che queste azioni non finiranno per aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sul riscaldamento globale. Nella migliore delle ipotesi spingeranno la security della National Gallery ad aumentare i controlli all’ingresso o peggio, a bandire le manifestazioni di protesta nel Regno Unito con il Public Order Bill, che, se approvato, proibirebbe di fatto tutte le forme di protesta che potenzialmente creerebbero “disagio” nell’ambiente circostante. Anche se il punto potrebbe essere messo molto prima: esiste protesta che non crei disagio?

Un errore comunicativo

L’attenzione dell’opinione pubblica si è concentrata sul giudizio dell’azione fine a sé stessa a suon di “si tratta di atti vandalici”, “non hanno avuto rispetto per l’arte”. Purtroppo, questo tipo di comunicazione rischia di innescare un meccanismo diametralmente opposto, di far dimenticare il messaggio politico che intendeva veicolare e distrarre da quest’ultimo. Prima che il mondo potesse tirare un respiro di sollievo alla conferma degli esperti sulla mancanza di danni alle opere, le immagini erano già online da troppo tempo perché l’indignazione non fosse già stata espressa nei commenti sui social.

Non è facile stabilire se gli atti dimostrativi abbiano effettivamente comunicato quanto si aspettavano gli attivisti e se sia stato fatto nel modo più giusto possibile. È sicuramente poco probabile che chi si è limitato a vedere passivamente la notizia sui social sappia che le proteste fossero rivolte all’inazione del governo britannico nei confronti del carovita e la crisi britannica e delle correlazioni con le concessioni per il petrolio e il gas. È più probabile che i sostenitori si siano limitati al cosiddetto attivismo da click, ovvero a condividere il post per mostrarsi sensibili al tema, ma esaurendo in poche ore l’attenzione nei confronti dell’argomento, senza proseguire nell’attivismo concreto.

Si evince dal dibattito che per molti imbrattare un’opera d’arte non è una scelta condivisibile agli scopi che si erano prefissati e l’attenzione si è subito rivolta alla legittimità del gesto. Ed è infatti di questo che stiamo discutendo, non di certo dell’emergenza climatica. Si è parlato dei rischi che ha corso il quadro e delle conseguenze per le attiviste, e intanto il tema della preservazione dell’ambiente è rimasto in secondo piano nel dibattito pubblico.

In sostanza non è stato sbagliato utilizzare opere d’arte come strumento per attirare l’attenzione. Difatti, in questo la missione è riuscita. Resta però il fatto che si è trattato di un errore da un punto di vista comunicativo, perché le persone hanno visto solo un’azione violenta, nonostante di fatto non lo sia. D’altro canto, in assenza di iniziative simili, non vi sarebbe così tanta attenzione verso gruppi di attivisti e movimenti da parte dei media e dell’opinione pubblica.

Sembra infatti che questo sia l’unico modo per suscitare un briciolo di interesse. Quindi alla domanda inizialmente posta, se l’arte fosse più importante della vita, la risposta dell’opinione pubblica sembra chiara e, sfortunatamente, affermativa.

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