Incontriamo Mark Lilla in un afoso pomeriggio romano. Lo storico delle idee americano, professore alla Columbia University di New York, trascorre il suo anno sabbatico in Italia dove aveva già vissuto 35 anni fa e tra poche settimane lascerà il nostro Paese. L'autore di Il naufragio della ragione (2019) e di L'identità non è di sinistra. Oltre l'antipolitica (2018), entrambi pubblicati da Marsilio, ama l'Italia ma è rattristato dal declino del livello culturale degli ultimi anni.
Se dovesse definire se stesso, come si definirebbe? Un liberale? Un progressista? Un conservatore?
«Sono un liberal della vecchia scuola. Sono attaccato ai valori dell'Illuminismo - ragione, scetticismo, tolleranza - e alle forme di governo che sostengono quei valori. Nel senso americano sono quello che un tempo si chiamava Cold War liberal: favorevole alla riforma sociale ma ostile al comunismo e all'utopismo. In Italia avrei trovato le mie opinioni espresse da personaggi di quell'epoca come Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone e la rivista Tempo presente. Il pensatore che mi ha influenzato di più è stato Isaiah Berlin. Dopo la svolta verso la politica fanatica dell'identità e il wokeness degli Stati Uniti oggi mi sento orfano».
Perché ha deciso di trascorrere il suo anno sabbatico proprio in Italia?
«Questo è per me un anno sabbatico dall'università per terminare il mio nuovo libro. Io e mia moglie siamo stati fellows dell'Accademia Americana di Roma e avevamo bei ricordi dell'Italia, ma francamente volevamo anche sfuggire alla malsana atmosfera politica e culturale americana».
Di cosa tratta il suo nuovo libro?
«Di ciò che Nietzsche chiamava la volontà di ignorare ovvero la nostra resistenza alla verità e alla realtà e l'incertezza inevitabile della vita. Mi interessano soprattutto le radice psicologiche e le implicazioni politiche e culturali di questa volontà. Per esempio, in un capitolo esploro la nostalgia politica della destra come fuga dalla realtà in un passato immaginario».
Un tema ricorrente nelle sue opere è l'eredità dell'Illuminismo e lo studio del pensiero anti-moderno. Il suo primo libro era dedicato alla figura di Giambattista Vico. Come è nata la sua passione per questa area di pensiero spesso dimenticata?
«Da giovane - vengo di una famiglia di operai di Detroit - ero più conservatore e religioso. Quando ho scoperto i saggi di Isaiah Berlin sui contro-illuministi ho trovato congeniale la loro critica all'Illuminismo, e per questo ho deciso di scrivere un libro su Vico. Ma lavorandoci ho cominciato a vedere l'Illuminismo in una luce più favorevole e il contro-illuminismo più come frutto di una paura esagerata delle implicazioni sociali della ragione e dello scetticismo. Da allora mi sono interessato alla psicologia della resistenza intellettuale in generale».
Quali sono i principali pensatori anti-moderni occidentali?
«Ci sono due forme di antimodernismo: una che cerca di ricreare un passato bucolico immaginario, l'altra che immagina una controrivoluzione contro il presente e la creazione di una nuova società più dura e con virtù più arcaiche e virili. Nel primo gruppo possiamo mettere Rousseau e tutti i rousseauiani fino al nostro tempo, per esempio gli ecologisti radicali di sinistra. Nel secondo, un pensatore come Julius Evola. Si tratta di una tradizione molto ampia».
In Il naufragio della ragione si sofferma sul pensiero reazionario. Cosa significa oggi essere reazionari?
«I liberali e i conservatori classici s'interessano alla natura umana e alla società. I liberali avviano la loro analisi con gli individui e considerano la società come una loro costruzione. I conservatori considerano la società come preesistente e gli individui come un suo frutto. L'attenzione dei rivoluzionari e dei reazionari è focalizzata meno sulla natura e più sulla storia, che considerano in modo apocalittico. Essere reazionario vuol dire volere sfuggire a un presente considerato oscuro e doloroso».
In L'identità non è di sinistra muove forti critiche al mondo progressista. A cosa è dovuta la crisi della sinistra europea e occidentale?
«Il primo problema è l'ossessione di definire cos'è e chi è di sinistra, meglio lasciare perdere. Conviene esplorare questioni e fenomeni fondamentali della politica senza pensare alla loro utilità ideologica e morale. Come Rousseau, come Marx, pensate da capo la natura umana, il potenziale e i limiti delle istituzioni, la logica dell'economia attuale, soprattutto i fondamenti non politici o economici della società come la famiglia, la religione, le abitudini e le usanze. Devo dire che oggi c'è molta più attività intellettuale a destra che a sinistra».
Non crede che una delle motivazioni della crisi della nostra società sia dovuta al politicamente corretto e alla cancel culture?
«Penso abbia più a che fare con il carattere particolare degli Stati Uniti e con le nostre tradizioni religiose. Ci sono stati vari momenti di fanatismo religioso che hanno cambiato gli Stati Uniti, uno prima della rivoluzione americana, un altro prima della guerra civile, un altro ancora antecedente la Prima guerra mondiale. Oggi la political correctness è una forma atea di questi fenomeni. Se non sei d'accordo con i giovani woke, loro lo prendono come un'offesa personale e diventi una persona da ostracizzare. Non ho mai capito perché in Europa si pensa che gli americani siano persone di buon senso e praticità. In realtà amiamo le crociate e siamo una tribù di fanatici moralisti».
Nel 2024 si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Se Trump dovesse vincere le primarie pensa ci sarebbe la possibilità di un suo ritorno alla Casa Bianca?
«Non posso immaginare che Trump possa vincere di nuovo, è qualcosa di già visto e gli americani vogliono sempre novità.
Ogni altro repubblicano avrebbe più speranze di diventare presidente, rispetto a Trump. Tuttavia è probabile sia lui il candidato del Partito Repubblicano e per questo mi aspetto una vittoria dei democratici. Ma chi sono io per dirlo? Dissi la stessa cosa nel 2016...».
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