Anche Hyundai avrà la sua anti-Bravo

Enrico Artifoni

da Offenbach

Il gruppo Hyundai, a cui fa capo anche la Kia, nel 2005 ha conquistato il sesto posto nella graduatoria mondiale dei produttori di auto. E non è finita. L’espansione continua a tappe forzate, specialmente in Europa. Le prime Hyundai, le Pony costruite su licenza della Ford, furono vendute nel Vecchio continente nel ’78, in Olanda e Belgio. A quasi 30 anni di distanza, nel 2005, la casa coreana è arrivata a vendere nei 15 Paesi della Ue, più i tre dell’area Efta, oltre 350mila vetture, che equivalgono a una quota di mercato del 2,2%. Considerando anche i 2.500 concessionari, sotto le insegne del marchio lavorano in tutto 28mila persone. Ma la cifra è destinata ad aumentare per effetto del forte impulso che Hyundai ha deciso di dare alle proprie attività europee. «L’esperienza ci ha insegnato che, per avere successo come “global player”, Hyundai non può limitarsi a esportare i propri prodotti, ma deve stare dentro o il più vicino possibile ai principali mercati», dice il presidente europeo, Young Keun Oh.
Si spiega così l’apertura nel 2003 di un centro di ricerca e sviluppo a Russelsheim, in Germania, e lo spostamento del quartier generale a cui fanno capo vendite e marketing nella nuova sede di Offenbach, vicino a Francoforte. Quest’ultima è stata realizzata con un investimento di 70 milioni, che suonano pochi rispetto al miliardo e 300 milioni messo in conto per il nuovo stabilimento di Nosovice, nella Repubblica Ceca. Dal 2008 questa fabbrica, la prima della Hyundai in Europa, darà lavoro a 3.500 persone (10mila con l’indotto) e produrrà 200mila vetture l’anno, destinate a diventare 300mila dal 2012. A Nosovice, inoltre, nascerà il nuovo modello di segmento C, la cruciale categoria a cui appartengono la Volkswagen Golf e la futura Fiat Bravo.


L’ambizioso obiettivo dichiarato dalla casa coreana è «diventare il marchio asiatico più popolare in Europa», cioè mettere in riga i giapponesi e dare filo da torcere a tutti gli altri, non solo in termini di quote di mercato ma anche di conoscenza del brand e di percezione del suo valore.

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