Andreotti, un sì a Prodi se non parlerà dei gay

Il senatore a vita condiziona il voto E anche il ds Grillini getta la spugna

da Roma

Piccata per le molteplici ma univoche esternazioni di Giulio Andreotti, il ministro Barbara Pollastrini s’è affrettata ieri a precisare che il progetto di legge sulle unioni di fatto, Pacs o Dico fate voi, porta comunque la firma del premier Romano Prodi, e poi chi l’ha detto che è affossato? Se non sta nel dodecalogo del riossigenato governo è solo perché lì «ci sono le materie del futuro», s’affanna a spiegare la titolare delle Pari opportunità, assicurando che «entro 15 giorni» il testo sarà al banco della competente commissione senatoriale. Ma basta la reazione di una delle due madri del progetto, per un ripensamento della vecchia volpe? Il senatore a vita che mercoledì scorso con la sua astensione ha contribuito a terremotare il governo dell’Unione, dichiara infatti ai quattro venti che stavolta voterà anch’egli la fiducia, proprio perché dal novello e stringato programma di Prodi, «sono scomparse assurdità come la discontinuità in politica estera rispetto al governo Berlusconi, e i matrimoni omosessuali».
No, certamente non basterà a mutar la rotta del più navigato e immarcescibile politico italiano. A meno che Prodi non sia così scriteriato da venire oggi a Palazzo Madama giurando che i Pacs sono una colonna portante, li difenderà con unghie e denti, porrà anche la fiducia per vederli in porto, e figurati la discontinuità in politica estera, anzi ce ne andiamo dall’Afghanistan domani stesso. La verità è che Andreotti, la Cei e la Segreteria di Stato d’Oltretevere, ma anche Mastella e gli integralisti della Margherita (Binetti, Carra e compagnia) hanno già avuto la vittoria di principio: Prodi ha tolto il cappello da quel disegno di legge, l’ha abbandonato nella «ruota degli esposti», s’è pentito ed oggi non ne farà parola. Per questo è stato perdonato, i suoi soci han compreso che è meglio pure dimenticar Vicenza, dunque il divo Giulio assolve a nome e per conto dell’interà cristianità cattolica impegnata in politica, voterà la fiducia perché «il diritto alla vita vale anche per i governi», dice e par di verderlo sorridere sornione, a labbra strette.
Come tutti, anche Andreotti sa che Cesare Salvi ha calendarizzato il testo sulle unioni di fatto in Commissione giustizia. Ma come tutti compreso Salvi, sa che è una inutile operazione di vetrina, perché come dice Franco Grillini (voce autorevole e davvero esperta) «al Senato sui Dico non passa nemmeno un foglio di carta in bianco». Persino il campione parlamentare del mondo gay, sa che bisogna sacrificar qualcosa sull’altare della ragion di Stato e della sopravvivenza governativa, ma lamenta: «L’avessero almeno presentata alla Camera ’sta legge, potevi traccheggiare un poco e dimostrare che ti stavi sforzando. Invece no, al Senato dove te la bocceranno ancor più in fretta, ora che è sparita dal programma di governo».
Volete che non ghigni Andreotti? Che una volpe tema una Pollastrini? Ieri ha rilasciato interviste a raffica, su quasi tutti i quotidiani nazionali, ammettendo che sì, il suo non possumus di mercoledì era dettato prevalentemente dai Pacs. Ma per amor del cielo, guai a sospettare che lo abbiano spronato dal Vaticano, «sono abbastanza maggiorenne per valutare e decidere in autonomia come orientare il mio voto» risponde. E sempre sorridendo: «Non c’era bisogno che me lo ricordasse il Sant’Uffizio come dovevo comportarmi».
Però la ministra non demorde.

E anche a rischio di far mancare domani un voto prezioso, rivendica: «Entro 15 giorni la legge sui Dico, di cui il primo firmatario è il presidente Prodi, dovrebbe essere discussa in Commissione al Senato e lì verificheremo la responsabilità di tutti»; non è vero che è stata rinnegata, «nei dodici punti indicati da Prodi ci sono le materie del futuro».

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