Gli anni Cinquanta secondo Clementi

Don Ciro fa il parroco. E lo fa a Pozzuoli, in pieni anni Cinquanta, quando l’analfabetismo e le semplicità degli italiani andavano a braccetto con i buoni sentimenti, la voglia di arrangiarsi, di trovare una piega luminosa anche nei guai meno piacevoli della vita. Quelli che, ad esempio, coinvolgono due sorelle e un farmacista dalle innocue aspirazioni dongiovannesche. Ruota intorno a questa girandola di personaggi - cui si aggiunge la presenza di un simpatico sacrestano - la commedia intitolata «Grisù, Giuseppe e Maria» di Gianni Clementi che, dopo il successo raccolto al teatro Della Cometa, è tornata a Roma da ieri. Autore assai incline a leggere vizi e vezzi del nostro Paese, declinandoli sempre su note nostalgicamente legate al passato (e basti ricordare i precedenti «La vecchia Singer» o «Il cappello di carta»), Clementi ci regala qui un affresco umano spennellato di solidarietà e compassione che, sebbene ispirato a un’epoca che sembra lontana anni luce dalla nostra, assurge a situazione simbolica capace di raccontare in modo schietto l’uomo all’uomo. E se il testo, architettato secondo i dettami della migliore commedia tradizionale, già di per sé è garanzia di divertimento, la messinscena non fa che aggiungere le tonalità espressive giuste. Merito della limpida e briosa regia di Nicola Pistoia.

E merito altresì dei bravi interpreti: il prelato affettuoso e ingegnoso di Paolo Triestino se la vede con il carattere forte e insieme malinconico di donna Rosa/Crescenza Guarnieri, con la smaniosa insoddisfazione di donna Filomena/Sandra Caruso, con l'incauta imbranataggine di Don Eduardo/Diego Gueci e con la baldanza del sacrestano (lo stesso Pistoia). Al teatro Sala Umberto fino al 22 febbraio. Informazioni: 06/6794753.

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