Gli anti Cav schiavi del perbenismo

L’ennesimo libro accusa Berlusconi e il suo presunto regime. Ma l’ex premier ha lasciato senza essere sconfitto in aula

Gli anti Cav schiavi  del perbenismo
Leggere Lolita a Teheran va be­ne, ma leggere Viroli a Roma è uno spasso, specie di questi tempi. Maurizio Viroli è quel che si dice un «intransigen­te », o almeno L’intransigente è il titolo del suo ultimo pam­phlet  pubblicato con Laterza. Viroli è uno studioso, un intel­lettuale schierato con il demi monde che legge Kant la sera e  disprezza chi guarda la tv. Odia da sempre Berlusconi, giudica servi coloro che lo hanno sostenuto, e filosofeg­gia da anni con molta appa­rente convinzione

e poco brio su un’Italia domi­nata da un regime onnipotente, assoggettata a un’oppressione profonda, che entra come un mor­bo letale nelle­viscere di uno sven­turato bordello di paese e di popo­lo dai quali la virtù è esiliata nel cuore puro dei puri più puri. Sce­menze, naturalmente, e ancora più risibili come scemenze in quanto ammantate di accademi­smo, sussiego, autoreferenziali­tà, sordido narcisismo delle élite (definizione che prendo in presti­to da uno studioso serio di sini­stra, il professor Franco Cassano autore de L’umiltà del male , sem­pre per Laterza).

A tre mesi dalle dimissioni di Berlusconi,nell’Italia in cui«il pro­cesso democratico è stato sospeso per consentire a un tecnocrate non eletto di perseguire politiche impossibili da varare per gli eletti del popolo» (Michael Schuman, Time Magazine ,Intervista a Mario Monti ), non è male dare uno sguar­do al trattatello che ci rifila il man­tra della millenaria oppressione italiana, la servitù volontaria per­vasiva e diffusa che il regime di Ber­lusconi, onnipotente e non com­battuto dalla sinistra istituzionale, ha fondato e fatto prosperare con la complicità dei cittadini e di tutti i transigenti della zona grigia. Pri­ma il fascismo, poi il Cav. hanno co­­struito questa schiatta di servi, que­sta razza di ruffiani, questa orribile accozzaglia di immoralisti natura­li insanguati da una genetica anti­ca e dalle sue robuste, immarcesci­bili radici.

Berlusconi se ne è andato una sera di sabato, senza ancora avere avuto un voto contrario dalle Ca­mere, decisione concordata con il capo dello Stato, l’ex comunista Giorgio Napolitano, un patto tra gentiluomini che prevedeva, giu­sto o sbagliato, la sospensione del potere elettorale dei cittadini e un programma e uomini di emergen­za­tirati fuori dal fior fiore dell’ esta­blishment accademico, bancario e burocratico del Paese. Per esse­re un regime erede del modello fa­scista di irregimentazione delle masse e di lobotomizzazione del­le coscienze, l’esito è un po’ diver­so, e il manualetto del solipsismo etico risulta veramente buffo. Gli italiani si sono divisi, una parte di loro ha festeggiato, un’altra parte ha messo il lutto, e forse la maggio­ran­za ha alla fine accettato o sta ac­cettando una misura di modera­zione formale compensata da una forte cura economica, fiscale e anche pedagogica al termine di quelli che sono sembrati e in parte sono stati anni di eccessiva baldo­ria. In poco più di novanta giorni l’anima putrida di questo popolo di inservienti e mendicanti par­rebbe riscattata, sulla scena inter­nazi­onale non meno che nella au­tocomprensione della migliore stampa nazionale, da una ordina­ria staffetta parlamentare.

Ordinaria? No, straordinaria. La sospensione del processo de­mocratico, evidente a Time Maga­zine e ad alcuni di noi, dovrebbe anzi essere il punto di partenza, per un politologo compos sui, di un ragionamento analitico che ab­bia almeno la pr­esunzione di esse­re convincente sullo stato della de­mocrazia nel Paese. Un sistema più efficiente o meno inefficace nel fronteggiare i guai della crisi fi­nanziaria in cambio dell’autogo­verno: questo il baratto spericola­to. Un professore accettato a Prin­ceton, come questo stimatissimo ricercatore, dovrebbe sapere quanto è caro agli americani, solo per fare un esempio, l’autogover­no dei cittadini. Se dopo Pear Har­bor, e non è che la situazione fosse migliore di quella dello spread a 570 punti, qualcuno avesse propo­sto di sostituire il presidente Roo­sevel­t con un tecnico della contrae­rea lo avrebbero direttamente rico­verato nel più vicino nosocomio.

Dai guitti agli editorialisti assog­gettati alla servitù volontaria del perbenismo e del conformismo, Viroli non è solo. Il suo trattatello è particolarmente sfortunato per­ché è stato scritto prima della svol­ta. Le vanità che contiene, la sua supponenza, la sua fatuità grandi­loquente fanno sorridere perché certificano, guai per lui e per i suoi sodali,l’incongruenza del pregiu­dizio politico, e la stupidità irrime­diabile dell’analisi.

Quello di Ber­lusconi non era un regime tiranni­co, era un governo eletto dal popo­lo al quale è succe­duto un esecuti­vo di sospensione della democra­zia, un cambio di passo volonta­rio, un atto di libertà volontaria nel segno del più puro pragmati­smo cinico all’italiana. Solo la sot­tomissione, anch’essa volonta­ria, alle stolide iperboli di una cul­tura dell’intolleranza può aver prodotto un libello tanto comico. Con la dissennatezza del poi.

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