Antigone regala una lezione di virtù civile

Più che recitare declamano. Più che agire disegnano gesti solenni. Più che farsi carico di passioni e tremori ne interpretano il racconto. Come in un tableaux vivant di stilizzata raffinatezza dove ci si affidi essenzialmente alla parola per evocare tragedie senza tempo. Non è un caso, d’altronde, che uno degli aspetti migliori dell’Antigone in scena al teatro India, regista Walter Le Moli, sia proprio la traduzione firmata da Massimo Cacciari: secca, puntuale, quanto mai attenta al messaggio politico di Sofocle e, di conseguenza, alla sua prorompente attualità. Traduzione che ha ispirato un approdo scenico scevro da ogni accento patetico e da ogni declinazione psicologica ma che, proprio per questo, rischia di risultare algido e illustrativo. Ferma restando la validità di due elementi: il progetto di cooperazione tra Stabili (Torino, Roma e Parma) in seno al quale il lavoro scaturisce e la forte attenzione deputata qui al testo, a quella profonda riflessione sulla convivenza civile che lo innerva. Schierati sul fondo della scena come statue che si animano all’occorrenza, vestiti di eleganti abiti che alludono a una classicità rivisitata in chiave contemporanea, chiamati a tessere dialoghi e monologhi sottolineando il ritmo del verso con continue spezzature e variazioni tonali, gli interpreti/personaggi sono infatti soprattutto vettori di parole, di poesia, di valori etici, di conflitti sociali e intimi che vedono contrapporsi le leggi della città da una parte e quelle dei legami di sangue dall’altra.

Antigone (Paola De Crescenzo), come è noto, sceglie le seconde e paga con la morte la sua colpa. Ma la vendetta degli dèi su Creonte non si farà attendere. Perché è nell’avidità dei dittatori che - ieri come oggi - risiede il germe di catastrofe.

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