Attacco al Giornale, verbali in pasto ai media E si aprono inchieste chiuse in nulla di fatto

C'è una grande fuga di notizie che resta sempre senza colpevoli. Verbali e intercettazioni finiscono puntualmente sui giornali anche se sono inutili. I giudici aprono inchieste. E nessuno paga

Attacco al Giornale, verbali in pasto ai media 
E si aprono inchieste chiuse in nulla di fatto

Fughe. Fughe inarrestabili. Fughe senza colpevole. È così che va la giustizia italiana da quando la giustizia fa notizia. Dal primo ciak di Mani pulite, quasi vent’anni fa. Certo, allora gli arresti si susseguivano sul nastro della procura, al quarto piano, e qualche volta il Gabibbo arrivava sotto casa prima dei carabinieri e prima delle manette. Oggi gli spifferi portano sui giornali frammenti di verbali in tempo reale, notizie che servono a far discutere ma non aggiungono un grammo all’inchiesta, intercettazioni che poi, a bocce ferme, riservano sorprendenti riletture.
La contabilità degli incendi mediatici, quella non la tiene più nessuno. Figurarsi. Già nell’ormai lontanissimo 1995, un’epoca fa, gli avvocati del Cavaliere, contestavano 130 fughe non ortodosse. Numeri che oggi, se aggiornati, verrebbero polverizzati. Numeri che, naturalmente, nessuno dentro i palazzi di giustizia ha mai preso sul serio. Perché le Procure spesso considerano la fuga un episodio deplorevole, ma non un reato. E perché le poche indagini aperte sono davvero, per dirla con il linguaggio della magistratura, atti dovuti. Atti dovuti e nulla più. Atti senza futuro. Gli avvocati del Cavaliere, ma non solo loro, hanno depositato nel tempo diverse denunce, a Milano, e anche a Brescia, competente per i reati compiuti dalla magistratura di rito ambrosiano. In un caso e nell’altro i risultati sono stati nulli.
Le inchieste trascinano nel loro corso impetuoso tutto quello che trovano. Come tronchi portati dai flutti arrivano nel mare aperto dell’opinione pubblica le avance del banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia ad Alessandra Necci, «la bella figliola» di Lorenzo, il gran patron delle Ferrovie dello Stato. È il 1996. Quindici anni fa. E le scintille sembrano quelle di oggi. Anche se i meccanismi non sono gli stessi.
Oggi l’inchiesta trova il suo altoparlante in parlamento. Dal tavolo della giunta, come da una stazione di transito, i documenti ripartono per le redazioni. E invadono il Paese. Emergono brani di intercettazioni, emergono verbali di interrogatorio, emergono riscontri bancari. Ed escono anche notizie che con l’indagine stessa non hanno nulla a che fare. Non importa. Va bene così. Ecco, per esempio la primizia servita ieri dai quotidiani: il Cavaliere ha dato ventimila euro alla mamma di Noemi, la signora Anna Letizia. È chiaro, questi soldi non hanno nessun legame con le imputazioni mosse a Berlusconi, ma l’effetto domino è raggiunto. E l’opinione pubblica può pensare che ci sia un filo unico a cucire i diversi episodi. Anche quelli più crudi.
Ecco che una conversazione fra Nicole Minetti ed Emilio Fede finisce sui giornali anche se si tratta di vicende disgustose, avvilenti e nulla più: «Maristella - spiega la Minetti - lavorava con uomini che vomitavano in macchina». E avanti a spiegare che le prestazioni di sesso orale costavano trecento euro. Così gli atti dell’inchiesta entrano in modo massiccio nel circuito dell’informazione. Con il solito problema di sempre: i filtri non ci sono.
Oggi come ieri. Quando i messaggini della coppia Falchi-Ricucci finiscono allegati in coda agli scoppiettanti dialoghi dei furbetti del quartierino. È un classico. Come l’involontaria confessione pubblica di Alessandro Moggi, figlio di Luciano: «Ho speso 10mila euro per portarla a cena a Parigi, ho preso un aereo privato, albergo di lusso, ristorante favoloso ma è andata buca». Ilaria D’Amico, la conduttrice televisiva, non si è lasciata abbagliare da tanto fasto. Ma che c’entra il corteggiamento di Moggi junior, come quelle di Pacini Battaglia, con la polpa dell’indagine?
Mistero. Eppure sono quei dialoghi laterali, magari pecorecci o scurrili ma senza sostanza penale, a calamitare milioni di persone. Basta rileggere l’ormai sterminata letteratura telefonica e cercare le frasi cult. Come quella pronunciata da Vittorio Emanuele di Savoia, prima dell’arresto disposto dalla procura di Potenza: «I sardi puzzano e basta». Il suo interlocutore, il raffinato Gian Nicolino Narducci, sta sullo stesso registro e duetta a meraviglia col principe: «sono figli di p..e deficienti». Così, quando parla a ruota libera della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, sequestrata in Iraq e liberata con una drammatica operazione in cui muore Nicola Calipari, il poco regale principe va giù pesante: «quella vechia t..

malmestruata». «Comunista di m..», chiosa il sempre più elegante Narducci. Volgarità. Turpiloquio. Buco della serratura. E fughe su fughe. L’arte della fuga. Quasi una colonna sonora di questi anni. Con pochissime interruzioni.

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