nostro inviato a Firenze
Il primo paradosso dellultimo congresso dei Ds è lapplausometro: i quattro interventi più applauditi sono quelli dei due principali «oppositori» - Fabio Mussi e Gavino Angius - e quello dei due principali «rassicuratori», Walter Veltroni e Massimo DAlema. Il secondo paradosso è uno strano impasto di sentimentalismo e algidità, di postmoderno e retrò, espresso benissimo dal contrasto fra la coreografia e il suo contenuto: il solito congressone di rito neo-sovietico, ma ambientato in una specie di superstudio da varietà televisivo del sabato sera.
Il partito non cè più. Non parla. Non arriva nemmeno al microfono, platea anonima e paratelevisiva. Cè la vetrina dei leader, che assomiglia allassecondarsi degli ospiti negli orari di punta dei grandi talk show. Fassino ha finalmente trovato uno scenografo degno di Raffaella Carrà, ma gli manca terribilmente un ghost writer degno di Kennedy, è terribilmente noioso. E così, quando la regia lo inquadra, pare quasi affranto, mentre tutti gli interventi dei big raccolgono più applausi del suo. E le donne? Stavolta sono ridotte dal nuovo format al rango di groopies. Livia Turco si vede lintervento (letto riga per riga!) stroncato dallingresso in scena di Prodi.
Giovanna Melandri, Franca Chiaromonte, Katia Zanotti, e la figlia di Pecchioli arrivano alle lacrime per laddio di Mussi. E il direttore de lUnità, Antonio Padellaro, tira fuori una battuta delle sue: «Vabbe, non è una novità, la Melandri ha pianto anche per la Fifa!».
Regia molto televisiva: braccio mobile, dolly carrello sulla platea, con inquadrature volanti da kolossal, ma poi non funziona il traduttore per il presidente dellSpd, è il bello della diretta. E tante battute sul palco davvero bellissimo ma che con la sua forma a scivolo ha suggerito al perfido vignettista Vincino lipotesi che fosse «Un residuo delle olimpiadi invernali». Splendida anche laria di déjà vu che si respira in platea che Sergio Staino consegna a un icastico scambio di battute fra militanti: «Sei emozionato per lultimo congresso della nostra storia?». E laltro: «Nooohh... Ormai ci sono abituato». Eh già: prima lultimo congresso del Pci, poi lultimo del Pds, ora lultimo dei Ds (di questo passo il prossimo potrebbe essere il primo e ultimo del partito democratico). Ecco perché se giri per gli stand, e tra i banchi dei delegati, senti questa aria strana, una sorta di funerale gentile, un funerale in guanti bianchi, una cerimonia di famiglia, dove la famiglia sono sempre loro: Massimo, Fabio, Piero, Walter, Gavino, come ha raccontato e previsto Andrea Romano, nel suo best seller sulla Quercia, «Compagni di scuola» (Mondadori). E solo il fratelli-coltelli spiega lo stravolgimento di razionalità politica dellintervento di DAlema che prima irride Mussi senza citarlo sulla polemica intorno al socialismo europeo: «Non è come avrebbe detto qualcuno, quando eravamo giovani e ribaldi, un bambolotto di pezza» (ovvero quel che Mussi aveva detto del Pci nel 1989). Luccichii di commozione sugli spalti, perché gli unici format che funzionano, nella famiglia diessina, sono la soap e il melò. Ecco perché il più applaudito e baciato, fra i delegati, agli stand, è Primo Greganti: il nuovo non cè, si corre verso i beni-rifugio.
Non funziona per nulla quando gli sceneggiatori fassiniani provano a fare il verso alla De Filippi, ad esempio quando sequestrano le due punte di diamante di «Medico in famiglia» Lunetta Savinio e Giulio Scarpati li spediscono sulla scenografia pista-da-sci con luci soffuse, tappeto musicale jazz, a leggere con accenti posati una lettera di Vincenzo Cerami e una di Margaret Mazzantini, che esordisce con un lirico «Caro Piero...» e racconta dei «giovani italiani che hanno gli sguardi opachi». Cerami, invece, pasolineggia un po, e poi conclude, per bocca di Scarpati, «sarebbe ora di mandare in soffitta anche Machiavelli». Ma non potevano dirlo di persona? Mistero. Se però esci dal finto salotto tv, il genio lo trovi rintanato nelle segrete di Nessuno tv, il canale (vero) dei Ds. Qui è approdato un conduttore straordinario che sia chiama Saverio Raimondo, ha 23 anni - non ha gli occhi opachi - e conduce il dopofestival del congresso, «Rai-mondo-visione». In fondo, per raccontare questo funerale lieve, bastano tre delle sue battute: «Ecco il commento a caldo sulla fusione fredda». Oppure: «Grandi ovazioni per Bersani, si vede che non cerano taxisti!».
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