A proposito di “Natale in casa Cupiello”

Lettera di protesta del presepe a Salemme (e Castellitto)

A proposito di “Natale in casa Cupiello”
00:00 00:00

Carissimi Vincenzo Salemme e Sergio Castellitto, in qualità di Presepe di Eduardo ho deciso di scrivervi queste umili righe. Lo faccio col rispetto che si deve a due grandi interpreti come voi che, quest’ anno e nel 2020, avete portato in tv - con successi di audience di cui mi rallegro - la celebre commedia “Natale in casa Cupiello”. Lo dico sotto voce, ma ho motivo di credere che quando nel 1931 De Filippo decise di narrare le gioie (poche) e i dolori (tanti) della famiglia Cupiello, a ispirarlo sia stato proprio io. Io, che nella famiglia Cupiello “piacevo” solo al patriarca Lucariello (in realtà sottoposto al matriarcato della moglie Concetta) mentre venivo vilipeso dal primogenito Tommasino e gli altri parenti mi sopportavano malvolentieri (“…teng’ e parient’… chi belli parient’…farisei siete…”, urla zio Pasquale).
Io, protagonista di cartapesta in un intreccio di colpi di scena tragicomici dove si ride e si piange grazie ai meccanismi perfetti creati da Eduardo. Non sta a me giudicare se, dove, come e quando , voi - cari Salemme e Castellitto - quei “meccanismi perfetti” li abbiate saputi più o meno ricreare: ritengo che in fondo al vostro animo di attori la risposta sincera ce l’abbiate chiara, benché sia difficile da confessare. Ma non è questo il tema.
Il motivo della mia lettera è un altro. E ruota attorno alla seguente domanda: perché nelle vostre “rivisitazioni” teatrali io non entro subito in scena? Non lo dico per egocentrismo, ma per rispetto dello spirito con cui Eduardo scrisse la commedia. Uno spirito tornato di “moda”, con buona pace di quel politicamente corretto che in troppi contesti tradizionali (in primis scuole e luoghi pubblici) aveva sfrattato come indesiderati me e i miei “colleghi”: ora l’aria sembra cambiata e noi siamo tornati con orgoglio ad essere mostrati anche nel Parlamento europeo.
E voi invece? Tu, Castellitto, mi hai fatto esordire sul palcoscenico oscurandomi con dei fogli, quasi ti vergognassi di me; e tu, Salemme, addirittura mi hai relegato in una stanza “nascosta” quasi dietro le quinte, tirandomi fuori solo dopo che la rappresentazione era cominciata da un pezzo. Non comprendo la ragione di tanta “indifferenza” nei miei confronti. Mi aiuterete a capire? Eppure è proprio in quell’attimo magico in cui il sipario si spalanca che si definiscono i ruoli-chiave della narrazione dove il mio “progetto” ancora in itinere, è però già la metafora di un’esistenza sull’orlo di un baratro che neppure la festa simbolo della Cristianita’ riuscirà ad evitare.
Insomma, quell’abbozzo di Capanna destinato a ospitare la Natività non è un semplice “arredo” folcloristico (se pur sacro), ma l’essenza di un pensiero immortale che si fa specchio di vita. La filosofia di Eduardo è ben definita: quando nel “suo” Natale la stanza si casa Cuoiello si illumina di sole e gelo (“Cunce’, fa freddo fuori?”) io emergo subito nella mia paradigmatica monumentalita’. E nulla tange che il sottoscritto abbia un “enteroclisma da dietro” per far sgorgare l’”acqua vera” destinata a finire nel “laghetto, circondato da pecorelle”, come spiega Luca Cupiello al figlio miscredente. Solo vedendo il papà morente sul letto, Nennillo - all’ennesima domanda ormai rassegnata del padre (“t’ piac’ o presepe’?”) - finalmente gli sussurrerà: “sì”.

Riscatto tardivo per un’esistenza di “no”. In conclusione, cari Vincenzo e Sergio, nella certezza che il Presepe “piacera’” sempre anche a voi, vi invito a starmi un po’ più vicino. Auguri per un felice 2025.
Firmato: Il Presepe di Eduardo

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica