Quei suicidi in carcere e la strada verso la dignità

Non c'è in carcere un modo rapido per darsi la morte. Non è così semplice ammazzarsi

Quei suicidi in carcere e la strada verso la dignità
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Non c'è in carcere un modo rapido per darsi la morte. Non è così semplice ammazzarsi. Non lo è mai, figurati quando sei circondato da muri spogli e dovrebbero controllarti senza sosta. Allora spesso scegli di farla finita con un cappio al collo, appeso a una doccia, a una sbarra, a quello che trovi. In Italia accade a un ritmo costante, con i conti che si aggiornano di anno in anno. Il diciassettesimo di questi primi mesi del 2024 si è impiccato a Latina. Aveva 36 anni, di origine indiana, in attesa di giudizio per reati di natura sessuale. È carcere preventivo. Qualcuno non avrà pietà, ma quando si sta tra i dannati, i peccati di Caino passano in secondo piano. La pietas non guarda alla colpa. I morti non dovrebbero fare contabilità. Solo che i numeri ti danno anche il segno delle carceri italiane. Ti dicono che ammazzarsi è una strada disperata verso la libertà. Nel 2023 i suicidi sono stati 84. È il record. Il 2024 potrebbe andare peggio. La vita in carcere appassiona solo se la raccontano come finzione in tv. Quella reale resta una parentesi. È un problema vecchio, che non si sa o non si vuole risolvere, per indifferenza, per cinismo, per viscere e paura, perché non porta voti. È un'idea malata di giustizia, che più di qualche volta colpisce a caso, senza garanzie e con la logica della punizione esemplare, ma improvvisata. È così che il «mondo di dentro», con carcerati e guardiani, marcisce nella quotidianità troppo affollata, con pochi soldi, senza prospettive, lasciato alla buona volontà dei singoli e con il suo rosario di suicidi e disperazione. Non bastano neppure le immagini dei pestaggi, di celle troppo affollate, di orizzonti senza speranza, di programmi invisibili per reinserire in qualche modo chi ha sbagliato nella società. La risposta è sempre la stessa: non c'è lavoro per la «brava gente» figurati per gli ex galeotti. La promessa è costruire più prigioni per rendere le condizioni di vita dignitose. La speranza è trovare strade alternative al carcere. I progetti ci sono, ma i tempi sono lenti. Non c'è fretta. Non c'è urgenza. La questione carceraria è il rumore di fondo della politica, un brusio, che non scuote la coscienza. Una battaglia per carceri meno ignobili non porta consenso. Non ti fa crescere nei sondaggi. Non regala applausi e popolarità. È una di quelle storie da cui qualsiasi politico furbo farebbe bene a restare lontano.

È per questo che andrebbe fatta, perché non puoi puntare il dito contro gli altri con la coscienza sporca, perché tra le cose per cui vale l'orgoglio di sentirsi italiani c'è quel libro scritto dal nonno di Alessandro Manzoni nel 1764: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. È l'architrave del diritto occidentale. È ciò che dovremmo essere, ma per rabbia e qualunquismo spesso buttiamo a mare.

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