La parabola del van, mezzo per ogni stagione

Nato per i lavoratori, identificato poi con lo spirito Hippy, ora è diventato uno scrigno iper-tecnologico

La parabola del van, mezzo per ogni stagione
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Chissà cosa direbbe oggi quel pragmatico olandese dal nome cortissimo e dai pensieri lunghi.

Di sicuro non si sarebbe stupito più di tanto, Ben Pon, il tizio che nel lontanissimo 1947, in una sala d’attesa della Volkswagen, a Wolfsburg, si era messo a scarabocchiare i contorni smussati di un Van rivoluzionario. Da lì a poco l’avrebbero ribattezzato “Bulli”, felice crasi tra Bus e Lieferwagen (mezzo di trasporto per le merci). L’aveva immaginato così, solido alleato della classe operaia, quella che sbatteva il portellone e magari imprecava tutto il santo giorno, estraendo attrezzi da lavoro. Poi però gli era venuto in mente di aggiungere dei divanetti e quattro finestrini: “E se servisse anche per lo svago?”, aveva detto ai tipi di Wolfsburg. Già in quel momento il Van aveva lasciato intendere di essere un concetto mutevole: un mezzo che sapeva cucirsi alle circostanze.

Storia simile per il Citroën Type H. Nato anch’esso nel 1947 e prodotto in quasi mezzo milione di esemplari fino al 1981, era la rappresentazione su ruote del veicolo commerciale. Compatto e spazioso, era munito di una finestrella scorrevole che ne esaltava la versatilità, consentendogli di oltrepassare la funzione originaria del trasporto merci per farlo diventare antesignano dei Van da mercato. La gente faceva la fila sotto la sua sagoma per comprare cibo caldo o dolciumi.

Al culto del lavoro era votato pure il progetto sviluppato da Mercedes nei Paesi Baschi, a Vitoria, poco più di un’ora di macchina da Bilbao. Era il 1996 quando il “Vito” spediva in pensione il suo predecessore, l’MB 100. Si basava sull’ossatura di un furgone ed era dotato di una trazione anteriore. Non gli ci volle molto a conquistare gli operai di mezza Germania e il flirt si espanse in fretta anche nel resto d’Europa.

Nel frattempo però la grammatica dello svago su ruote si era fatta largo col “California”, sul finire degli anni ‘80. Un omaggio esplicito alla cultura hippie, che evocava già dal nome un senso di libertà e avventura senza confini previsti. Su questa versione camperizzata del T3, Volkswagen aveva montato letti matrimoniali, una cucina completa, fornello, lavello, tavolo estraibile, vani oggetti e tende parasole. Era tutto molto spartano, ovviamente, perché la meta era il viaggio, l’esperienza da farsi su mezzi spesso acquistati di seconda mano, a volte cigolanti, di certo lontani dal lusso di una camera d’albergo.

Poi accosti un attimo, è il 2024, e le regole del gioco sono cambiate di nuovo. Via le fascette tra i capelli e gli spray per disegnare simboli di pace sulle carenature multicolor. Al bando chitarre e picnic improvvisati. E, già che ci siamo, rimpiazziamo anche i motori diesel e benzina. Oggi la nuova vita dei Van è elettrica, iper tecnologica, assolutamente confortevole.

Le icone del passato vengono ripensate assecondando questa filosofia. È il caso dell’ID. Buzz, primo Van totalmente elettrico di Volkswagen, un abitacolo con più di trenta sistemi di assistenza a bordo. Oppure dello stesso Citroën Type H: con un kit di trasformazione, un comune Citroën Jumper può assume le fattezze del Type-H 70th Anniversary e si presta, non solo in Francia, a confortevoli esperienze di viaggio.

Intanto la Cina non se ne sta alla finestra. Il Maxus Mifa 9, opulento shuttle elettrico da 7 posti, prodotto dal marchio Saic, propone interni interamente in pelle e un gigantesco touch screen che dirige una tecnologia all’avanguardia.

Agli antipodi delle motivazioni che ne avevano ispirato la genesi, il Van diventa oggetto di lusso per spostare popstar o clienti facoltosi, piegandosi anche ad una nuova frontiera, quella dello sfoggio a noleggio. Il romanticismo che cede il passo all’ostentazione? Forse, in attesa del prossimo cambiamento.

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