nostro inviato a Rio de Janeiro
Mentre il G20 che si è appena concluso in Brasile è stato sostanzialmente «congelato» dal passaggio di consegne ai vertici dell'amministrazione americana (l'insediamento di Donald Trump avverrà il 20 gennaio) e con le ambasciate occidentali che evacuano le loro sedi di Kiev per il timore di un attacco di massa della Russia, Bruxelles continua a vivere serenamente sotto la neve della sua «bolla». Con le schermaglie tra Ppe e Socialisti di S&D che non trovano pace, tra accelerazioni e frenate continue nel già complesso processo che deve portare al via libera alla nuova Commissione Ue. Un mondo a parte, dove il braccio di ferro sui nuovi equilibri europei - dopo le elezioni di giugno i Socialisti non sono più determinanti e i Popolari che ora possono giocare di sponda con i conservatori di Ecr e smaniano per marcare il territorio - sembra una riedizione italiana del prodiano Turigliatto day. L'Italia, insomma, è riuscita a esportare in Europa il meglio del peggio.
Così, in una giornata lunghissima con un primo «sì» e un secondo «no» inframezzati da un incidentale «ma forse», si arriva finalmente al via libera alla nuova Commissione. Una decisione in verità ineluttabile da mesi, perché poi la realpolitik fa il suo corso. I nuovi equilibri in Europa quelli sono. E gli affanni dei due leader socialisti europei (il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier spagnolo Pedro Sánchez) confermano la debolezza di S&D che non può che subire le forzature del Ppe.
Il nodo da sciogliere della partita delle sei vice-presidenze esecutive, infatti, è diventata la socialista spagnola Teresa Ribera, ministra della Transizioni a Madrid e nel mirino del Partido popular per la gestione dell'alluvione di Valencia. Al punto che la nomina di Raffaele Fitto - fin dall'inizio vista da S&D come un affronto per la scelta di von der Leyen di concedere un ruolo di primo piano a un esponente dei conservatori di Ecr - da problema insormontabile è stato ridimensionato dai Socialisti a contropartita per un via libera a Ribera (su cui il Ppe ha continuato fino alla tarda sera di ieri ad alzare barricate). L'equazione, insomma, si è ribaltata. Non Fitto, né Ecr. L'inciampo è Ribera, su cui la corposa delegazione spagnola del Ppe continua a storcere il naso.
Ieri pomeriggio sembrava si fosse arrivati alla quadra, con le valutazioni delle commissioni del Parlamento europeo che sono riprese per chiudere la partita. Con il «no» dei socialisti francesi a Fitto che non cambiava il quadro, visti i numeri esigui della pattuglia che la Francia ha in S&D. Ancora una volta, invece, a impallare tutto a un passo dal traguardo è stata Ribera. Ore di impasse, con un certo fastidio anche di Ecr che dava la cosa per chiusa e non ha ben capito l'alzata di scudi dei Popolari. Poi, finalmente, l'intesa. Contorta come piace alla «bolla» di Bruxelles. Passano sia Ribera che Fitto, con due lettere di accompagno che sono dichiarazioni d'intenti senza alcun valore giuridico né peso politico. Per la prima il Ppe chiede le sue dimissioni nel caso di un'inchiesta della magistratura spagnola sull'alluvione di Madrid, per il secondo S&D e Renew si dicono favorevoli al suo incarico di commissari ma contrari alla carica di vice-presidente esecutivo. Von der Leyen le riceverà, le metterà nel cestino e dal primo dicembre darà formalmente il via al suo bis.
E Meloni non può che essere soddisfatta.
«La vice-presidenza esecutiva di Fitto - si limita a dire da Buenos Aires - non è una vittoria del governo o di una parte politica, ma di tutti gli italiani». Anche se in cuor suo la premier sa bene di aver portato a casa un risultato su cui fino a quattro mesi fa nessuno avrebbe scommesso un euro.
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