I sindacati: una montagna di soldi, grandi prediche, zero trasparenza

Un giro da 2,2 miliardi e solo 68 milioni a bilancio. Ma le tre sigle non rendono conto a nessuno

I sindacati: una montagna di soldi, grandi prediche, zero trasparenza
00:00 00:00

T ra i cattolici gira una battuta sulle tre cose che Dio non sa: quanti sono gli ordini femminili, cosa pensano davvero i gesuiti, quanti soldi hanno (o avevano?) i salesiani. Tra i sindacalisti ci si chiede la stessa cosa: quanti soldi abbiamo? È un segreto più duraturo di quelli di Fatima, che nessuna veggente riesce a svelare. Ci provò, buon ultimo, l'Espresso nel 2015: Cgil, Cisl e Uil vantano 68 milioni di bilancio, i ricavi sarebbero 2,2 miliardi. Roba da mandare la Guardia di Finanza a controllare i libri contabili, se ci fosse l'obbligo. Invece non c'è.

«Non hanno personalità giuridica a causa della non attuazione dei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 39 della Costituzione che li legittima al comma 1. Per evitare l'errore dei vecchi sindacati fascisti», meglio lasciarli in un limbo, fu la versione dei costituenti. Quindi niente bilanci consolidati ma qualche cifra qua e là, «come il conto sulla carta dell'oste», dice al Giornale una fonte che ben conosce le dinamiche interne ai sindacati. Partiti e sindacati sono come una bocciofila, «ma ai partiti non arrivano soldi dalle buste paga, ai sindacati sì», mormora un vecchio ex democristiano col dente avvelenato. Ogni sigla ha diritto infatti a circa l'1% della retribuzione annua dei lavoratori attivi e allo 0,3-0,5% degli assegni dei pensionati. Se il reddito medio dei dipendenti italiani è stato 22.280 euro e quello dei pensionati 19.750 euro, parliamo di 223 euro per chi lavora e 100 scarse per chi è a riposo. Ma sapere con certezza gli iscritti è impresa ardua: si calcola siano nel complesso 11 milioni: 5 per la Cgil guidata da Maurizio Landini (nella foto), 4 per la Cisl di Luigi Sbarra e poco più di 2 per la Uil di Pierpaolo Bombardieri. Facendo una media di 150 euro all'anno siamo a oltre un miliardo e 700. Per arrivare a 2,2 servono altri 500 milioni bisogna fare due conti per capire l'enorme torta che ogni anno i tre sindacati si dividono per organizzare manifestazioni e scioperi - come quello di venerdì - presidiare i fondi pensione gestiti dalle banche, indire referendum (vedi quello su Jobs Act e salario minimo), pagare pullman, treni e stipendi a migliaia di dipendenti in «distacco sindacale retribuito» che costano allo Stato più di 150 milioni, funzionari sparsi nelle centinaia di sedi nei centri cittadini. Una robina che costa a occhio 1,5 miliardi di euro, quanto il tesseramento.

Ma a finanziare i sindacati confederali ci sono altre quattro entrate: formazione professionale; assistenza previdenziale e fiscale (i Caf); contributi indiretti di artigiani e commercianti, dei datori di lavoro privati e pubblici; contributi ai patronati, che all'estero (vedi i casi Inca Cgil a New York e Zurigo ripescati da Massimo Giletti per la trasmissione di Raitre Lo Stato delle Cose) «fatturano più di quanto incassino in Italia», con troppe opacità. Quanto ai Caf, se è vero che il 730 online ha in parte tolto loro mercato, nel 2024 le dichiarazioni fiscali italiane raccolte sono state 17,5 milioni (17.492.085 per l'esattezza), quasi il 76% del totale. Facendo una media sottostimata di 40 euro a dichiarazione parliamo di 700 milioni l'anno, di cui almeno la metà resta nelle loro casse.

In tanti hanno provato (invano) a costringere sindacati e patronati a fare i bilanci come fossero società private, da Forza Italia alla Lega. Niente. E dire che fino al 1993 i dirigenti sindacali erano - a rotazione - nei board di Inps, Inail e Inpdap. Tangentopoli arrivò a bussare anche alle tante cittadelle sindacali sparse negli enti pubblici, i rappresentanti delle tre sigle si dimisero in massa portando al commissariamento dei tre enti.

In cambio Cgil, Cisl e Uil la fecero franca dai cascami delle inchieste che sfiorarono i loro dirigenti («fu un accordo coi pm», maligna qualcuno), in cambio si impegnarono solennemente a «cambiare le regole del gioco», fissando «nuovi criteri per misurare la loro reale rappresentatività», con la minaccia di un referendum abrogativo della parte di Statuto dei lavoratori che garantisce ancora oggi alla Trimurti il sostanziale il monopolio della rappresentanza, con buona pace delle altre sigle, vedi l'Ugl oggi molto più rappresentativi di allora. Poi arriverà Silvio Berlusconi, lo sciopero generale di 30 anni fa esatti resuscitò i sindacati e seppellì quelle promesse. Una sorta di «miracolo italiano» ma al contrario...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica