Gli autori cattolici? Si nascondono nelle catacombe

Gli autori cattolici? Si nascondono nelle catacombe

P er qualche anno ho tenuto su queste pagine una rubrica intitolata Lettere cattoliche. Quello che mi resta di quell’esperienza è una domanda grande come una montagna: perché la letteratura è diventata completamente incapace di parlare di Dio? E questo fin dal tempo in cui la maggioranza degli italiani si dichiarava credente, cattolica e frequentava la messa? Perché chi si occupa, da scrittore, di Dio rientra nell’ambito dell’editoria specializzata? Librerie cattoliche, librerie di mare, librerie del giallo, librerie tecniche, librerie militari...
Molti amici, anche autorevoli, mi hanno offerto le loro spiegazioni, ma sono quasi sempre spiegazioni facili, e a me le cose facili insospettiscono: a me piacciono le cose difficili, e il massimo della difficoltà si chiama semplicità. Nessun amico ha mai saputo darmi risposte all’altezza di quella semplicità. Le spiegazioni che sento sono di carattere ideologico, ossia di ordine contenutistico. Laicismo, relativismo, nichilismo... Ok, tutto vero, ma a me interessa capire non tanto perché molta gente abbia smesso di credere in Dio (e quindi di parlarne) ma perché quelli che hanno continuato a credere nelle parole del Credo (e quindi in Cristo, nella verginità di Maria, nella Chiesa e nella Resurrezione della Carne) siano diventati incapaci di dirlo davanti a tutti, mediante storie persuasive. E questo è proprio un dato di fatto: scrivono per editori specializzati perché le loro parole non sono persuasive.
E non è che ci abbiano rubato le parole: le parole sono tutte lì, pronte per essere usate. Nessuno ha mai vietato di farlo. E non è vero nemmeno che non si viene pubblicati. Parlare di Dio non ha mai discriminato nessuno, diversi scrittori italiani lo fanno, per case editrici laiche, e nessuno ha niente da ridire: se mai il vero discrimine sta nel modo di parlare dell’uomo. Ma questo è un problema ulteriore. Non è facile trovare risposte esaustive a un interrogativo come questo. Forse però qualche osservazione non sarà inutile.
La prima è di carattere politico e ha la sua radice nell’idea moderna di Stato così come la formulò il suo maggiore teorico, G. W. F. Hegel. Nei secoli XIX e XX l’Europa latina e tedesca è stata il terreno di coltura dello Stato moderno, il cui carattere principale è quello di non essere trascendibile: regolatore di tutto, esso non può essere regolato da niente. Lo Stato moderno è totalitario per sua natura, e le elezioni democratiche assomigliano spesso a una finzione, a un gioco necessario ma irrilevante. E siccome non sono i cittadini a fare lo Stato, ma è lo Stato a fare i cittadini (e quindi soggetto primo dell’educazione e della cura degli stessi) ne risulta che lo Stato è esso stesso la religione, per cui qualsiasi esperienza religiosa estranea ne risulta al massimo tollerata.
Con diverse, tragiche vicende, che includono anche fascismo comunismo e nazismo, questo corpo immanente si è consolidato nel corso del secolo passato ponendo fuorilegge la fede non tanto come sentimento (che Hegel apprezza molto, come tutti sanno) ma come progetto sul mondo. La fede non è legge né educazione né cura (ci pensa lo Stato), e non è nemmeno sapere (ci pensa la Scienza). Già il fascismo, pur avendo riconosciuto (1929) la cittadinanza politica al cattolicesimo, non ne riconobbe la dignità culturale, che si salvò - cosa non indifferente - soprattutto nelle pieghe della Poesia (Rebora, Ungaretti, Betocchi, Luzi ecc.), cioè là dove il peso dell’ideologia poteva essere meglio evitato, a differenza del Romanzo, di cui l’ideologia è, viceversa, un componente importante. Nel dopoguerra, poi, avvenne che fummo costretti a reinventare la nostra identità italiana per venderla sul mercato dei vincitori. E qui facemmo la conoscenza del Mercato, che nell’universo anglosassone fa la stessa parte dello Stato da noi: un’entità altrettanto intrascendibile. In sostanza: dire le parole della fede è difficile perché il cattolicesimo è, a dispetto delle apparenze, una religione clandestina in un mondo in cui lo Stato e il Mercato sono gli dèi ufficiali.
La seconda osservazione, almeno per quello che riguarda le nostre latitudini, riguarda i cattolici stessi. Tutte le volte che parlo con uno scrittore immune dall’aggettivo «cattolico» percepisco in lui una specie di rispettosa ignoranza: da un lato non sa nulla di cristianesimo, ma proprio nulla, dall’altro però cerca di essere gentile (o compiacente) mostrandomi subito il proprio lato per così dire «spirituale», forse immaginando che questo possa farmi piacere. Questo ha la sua origine in un cattolicesimo che nel dopoguerra volle giocare in modo nuovo la partita politica, tamponando l’avanzata dei comunisti senzadio e assumendo la guida del Paese, ossia diventando una forza di potere. Tra le tante anomalie dell’Italia c’è stata anche questa: il corpo dello Stato (moderno, hegeliano) condotto da un’anima cattolica.
Ma l’egemonia politica cattolica presentò, sul piano culturale, la sua debolezza: quella di doversi giustificare come forza «moderna», avente diritto di guida un uno stato moderno. Rinunciando al proprio corpo per assumere quello dello Stato, il cattolicesimo si ridusse a pura anima e finì per avere, nel nostro mondo, ciò che si meritano le anime senza corpo: una specie di riserva indiana.

Come visitando una riserva indiana è opportuno mostrarsi gentili e affabili con i reseidenti, così avviene quando il mondo moderno (e anche quello postmoderno) viene a fare visita ai cattolici: è gentile, affabile, e questo è tutto.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica