Da «Avvenire» l’invito a tutelare gli studenti E il web si inventa la guerra Cei-Gelmini

«Caos scuola, altolà dei vescovi: nessuno speculi sulla pelle dei ragazzi. Avvio dell’anno confuso e con ombre. Dalla Gelmini partita personale e politica». «Preoccupato editoriale dell'Avvenire dopo le polemiche seguite agli annunci del ministro e alle sue parole sui precari». Insomma un «duro monito» da parte della Chiesa, questa volta indirizzato al ministro della Pubblica istruzione.
I vescovi non sono soliti tacere sui problemi del Paese e non mancano di far sentire la loro voce, anche in polemica con chi governa. Ma l’interpretazione che ieri i siti web dei maggiori quotidiani hanno dato a un editoriale di Davide Rondoni pubblicato da Avvenire, «non sta né in cielo né in terra», come ha spiegato lo stesso direttore del giornale della Cei.
Rondoni, parlando della ripresa dell’anno scolastico, ricordava che anche questa volta esso si presenta in modo «confuso e non privo di ombre» e con «nodi irrisolti», nonostante e forse anche a causa della «gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice» del ministro Gelmini. Ma non è il ministro il bersaglio dell’editoriale, che chiede in realtà di «salvaguardare l’essenziale», cioè «il servizio da rendere» ai ragazzi, «senza cedere alla faziosa difesa di interessi particolari, senza vedere nella scuola il luogo del confronto politico partitico, o della difesa di corporativismi». Perché, scrive ancora Rondoni, non c’è «reato più grave oggi in Italia che trattare male la scuola». E conclude: «Non si guardi ad altri interessi. Non si sfrutti il loro nome (dei ragazzi, ndr) per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle». Appello che «vale per il ministro, e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola».
L’editoriale, intitolato «Le orme dei giovani sulla strada della scuola» e accompagnato dall’occhiello «Promemoria per gli addetti ai lavori» (titoli peraltro non propriamente da battaglia), è stato dunque interpretato come una bordata proveniente non dal quotidiano cattolico, ma direttamente dai vescovi, contro la Gelmini. E nonostante le smentite dell’autore prima, e del direttore di Avvenire poi, questa interpretazione ha continuato a diffondersi, dimostrando ancora una volta quanto sia difficile correggere il tiro quando sulla rete è passato e si è consolidato un certo messaggio.
«Il mio editoriale su Avvenire - ha spiegato lo stesso Rondoni - non era rivolto contro il ministro Gelmini o contro qualcuno tra i tanti adulti impegnati nella scuola. Era piuttosto un invito rivolto a tutti, ai politici, come agli insegnanti, stabili o precari che siano, e anche ai sindacalisti a tenere bene a mente qual è lo scopo della scuola: i nostri figli. Vedo che paradossalmente il mio invito a non strumentalizzare la scuola è già stato strumentalizzato».
Il direttore del quotidiano cattolico, Marco Tarquinio, aggiunge che parlare di Avvenire contro Gelmini è «un’interpretazione libera, ma che non sta né in cielo né in terra». L’editoriale, spiega, è un «promemoria per gli addetti ai lavori». «Tutti, gli addetti, dal ministro Mariastella Gelmini a “ogni adulto che ha funzione nella scuola”: siamo infatti abbastanza liberi e sereni da intervistare il ministro sulla sua “rivoluzione del merito” e, contemporaneamente, da registrare e proporre problemi - seri o di sospetta origine ideologica e corporativa - del mondo scolastico che reclamano risposta».
«Abbiamo indicato il nodo più intricato e la più pressante necessità - conclude il direttore -: salvaguardare l’essenziale, cioè servire i bambini e i ragazzi che frequentano la scuola pubblica italiana, che è insieme statale e paritaria non statale. Abbiamo chiesto a tutti - ancora con le parole di Rondoni - di non trattare male la scuola. E cioè di non usarla per altro motivò che non sia quello suo proprio.

Ma vediamo ora montare una piccola tempesta di interpretazioni, in dura e preconcetta chiave anti-ministro».
E da Cernobbio, nel pomeriggio, è intervenuta la stessa Gelmini: «Ho letto l’editoriale di Avvenire e devo dire che l’ho condiviso».

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