Da bandiera rossa a sindacato giallo

Lotta dura e crumiri senza paura. La nuova parola d'ordine arriva dall'insospettabile Unità: contrordine compagni, non si sciopera più. La solidarietà di classe? Le rivendicazioni collettive? La conflittualità permanente? Tutti reperti del passato: avanti popolo alla riscossa. Dello stipendio. E senza trattenute. Bandiera rossa? No, sindacato giallo. Basta con questa menata di incrociare le braccia: si sta molto scomodi. Si perdono dané. E non si riesce nemmeno a giocare a golf.
C'era una volta il quotidiano fondato da Gramsci, cellula giornalistica combattente, nucleo puro e duro dell'ortodossia proletaria. Adesso, nella sinistra radical chic che è rapidamente passata dalle barricate alle barrique, succede che venga pubblicata una lettera dell'amministratore delegato, Giorgio Poidomani, che dice in sostanza: caro compagno direttore, cari compagni redattori, non è che potremmo farla finita con questa protesta? L'oculato contabile fa due conti e sentenzia: a star fuori dalle edicole, finisce che io mi ritrovo fuori dai budget. E a dirla tutta anche un po' fuori dai gangheri. Per cui parte la richiesta di sinistro crumiraggio: smettetela col picchetto o qui ci lasciamo il pacchetto.
La lettera è stata pubblicata sabato 6 gennaio, giorno dell'Epifania che tutti gli scioperi, com'è noto, si porta via. Per la verità la formula è piuttosto strana: raramente si era visto finora lo scritto di un editore relegato a pagina 26, fra le missive degli altri lettori, da Fiammetta («viaggiatrice sconsolata e preoccupata») che si lamenta per i treni più cari, a Gianfranco («compagno di base della sezione Ds di Montemario») che parla di quelli come lui che «tutte le mattine continuano ad andare in fabbrica a soffrire». E c'è da dire che l'amministratore delegato, dopo la pubblicazione, ha anche cercato di innestare una piccola retromarcia, smentendo ieri un articolo di Franco Bechis su Italia Oggi intitolato proprio così: «Compagni si va in edicola (o si va a ramengo)».
Epperò le smentite servono a poco. Se c'è una cosa chiara in quella lettera è proprio il cruccio di Poidomani che racconta come le mattine dei giorni di sciopero si senta triste nell'andare in edicola e trovare tanti giornali (li ha contati: 17) «di tutti i tipi, generalisti e di opinione, di destra e di sinistra», tranne la sua Unità. Il ragionamento non fa una grinza: i quotidiani venduti nei giorni di sciopero aumentano le tirature, i grandi quotidiani che non escono recuperano poi nei giorni successivi «con maggior pubblicità e supplementi di acquisto obbligato». E gli altri? E l'Unità? Ecco il domandone finale, rivolto al direttore Padellaro: «Il tuo povero giornale può prescindere dal conto economico?».
Giammai, s'intende: conto economico e lucchetto, (ex) comunista perfetto. Il lucchetto serve per chiudere la cassaforte, ovviamente: perché si sa, i valori a sinistra hanno una certa importanza. Soprattutto quando sono valori contabili. Da questo punto di vista, per altro, all'Unità ultimamente hanno qualche problema: finché c'era da sparare sul governo Berlusconi a palle incatenate (ma molto palle), era facile far gonfiare le vendite come lo stomaco di Maradona. Adesso, invece, si sono trasformati nei paggetti del governo Prodi e le copie inevitabilmente calano: da 70mila a 60mila o forse anche meno. Si capisce: gli italiani già mal sopportano il premier. Figurarsi i suoi reggicoda.
Dunque, cari compagni giornalisti, non c'è che una soluzione: boicottare lo sciopero. Parola di amministratore delegato, seppur relegato a pagina 26: meglio crumiri che morti. In altre parole: se ci tenete alla nostra Unità, fate un pensiero a rinunciare alla vostra unità.

E quella lettera è davvero un piccolo fatto epocale, un segno dei tempi che cambiano: come se l'amministratore delegato del giornale diessino avesse fatto una marcia individuale dei 40mila, lì, nello spazio dedicato alle lettere, rompendo un tabù che sembrava intoccabile: né bianco né selvaggio né articolato né a catena, non c'è spazio per lo sciopero nella sinistra che alle tute blu preferisce le auto blu e ha sostituito le sfilate degli operai con le sfilate di Armani o di Louis Vuitton. Dimenticate megafoni, striscioni, slogan e sit in. Altro che servizio d'ordine. Al massimo, ci sarà un ordine di servizio.

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