Barenboim: la pace con le armi della grande musica

Daniel Barenboim, stasera sul podio della Scala (ore 20) con la West-Eastern Divan Orchestra, è pianista e direttore di lungo corso. Pure saggista, autore di testi dove le riflessioni musicali sconfinano nella filosofia, e viceversa. Ha diretto stabilmente orchestre-leggenda, come la Chicago Symphony, ora è direttore a vita alla Staatskapelle di Berlino e «maestro scaligero» alla Scala, proprio il teatro che per la stagione prossima lo avrà come e più di prima: in tutte le vesti, quella di direttore, pianista, mentore (di giovani direttori). E' un personaggio che, nonostante non sia propriamente dotato del fisique du role, sa bucare lo schermo. E' un bulimico della vita, indaffaratissimo, diviso equamente fra podio, tastiera e aeroporti. A un passo dai settant'anni (15 novembre 1942), pur tra mille affari, Barenboim concentra sempre più mente e cuore sul primo e sempre solido amore, il pianoforte, e sulla sua West Eastern Divan. Nel solo mese di aprile ha riempito gli scaffali dei negozi di musica con il frutto di questi due amori, ovvero con cinque nuovi cd Decca con lui nel ruolo di pianista oppure alla testa della Divan. In questi giorni gira l'Europa che conta (dopo Milano, Roma, Vienna, Parigi) con la Divan che alla Scala è presente oggi per una serata a favore di Children in Crisis.
Nella Divan, fondata nel 1999, Barenboim ha riunito musicisti palestinesi, israeliani e di altri Paesi arabi. I ragazzi della Divan, che martedì eseguono la Terza Sinfonia di Beethoven e l'Adagio della Decima Sinfonia di Mahler, sanno che «in questa orchestra conosceranno l'uguaglianza che è loro negata in patria. L'orchestra non può portare la pace, tuttavia può creare le condizioni per una comprensione senza la quale è impossibile il dialogo» scrive Barenboim nel suo libro, subito best seller, La musica sveglia il tempo. Barenboim ha così realizzato un sogno. Quello di fondare in Medio Oriente una «Repubblica indipendente e sovrana del West-Eastern Divan, la quale crede che qualsiasi vero progresso nel conflitto israelo-palestinese richieda che entrambe le parti si parlino e si ascoltino a vicenda, con sensibilità e attenzione. Israele ha bisogno di sicurezza e i palestinesi hanno bisogno di uguaglianza e dignità», reclama Barenboim. Parole che cadono nel vuoto proprio in questi giorni bagnati di sangue (le truppe israeliane hanno sparato contro contestatori palestinesi nel giorno dell'anniversario della fondazione dello stato di Israele che i palestinesi definiscono «catastrofe»).
Sempre con le armi della musica, nel 2001, a Gerusalemme, volle rompere un tabù proponendo come bis una pagina di Wagner, compositore il cui nome è associato all'antisemitismo. Un coraggio espresso con i mezzi della musica e che gli ha guadagnato la cittadinanza onoraria palestinese.
Ebreo russo, cresciuto fra Argentina e Israele, Barenboim è approdato alla Scala nel dicembre 2005, dopo trent'anni d'assenza. In breve è entrato nelle grazie del teatro che, pur di tenerselo stretto, ha coniato appositamente per lui il titolo di «maestro scaligero». Cosa vuol dire? Che si ritaglia ampi spazi nel cartellone, svincolato, però, dagli impegni ed oneri di un direttore musicale. Nei giorni caldi delle proteste scaligere, adunò la stampa per manifestare, con il suo fare istrionico, le preoccupazioni per il mondo della cultura italiana.

In apertura del giorno top della musica classica in casa nostra, cioè la prima della Scala edizione 2010, sollevò un polverone leggendo l'articolo 9 della nostra Costituzione, rimarcando la centralità della cultura in Italia. Anche se il reintegro del Fus (il denaro per lo spettacolo) ha avuto luogo dopo l'incontro di Giulio Tremonti con il direttore Riccardo Muti.

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