Il delicato equilibrio della premier su Kiev. Con lo sguardo alla Lega e a Trump

Meloni fa la sintesi tra posizioni molto diverse. Le critiche di Borrell e le presidenziali Usa

Il delicato equilibrio della premier su Kiev. Con lo sguardo alla Lega e a Trump
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In fondo aveva ragione il ministro della Difesa Guido Crosetto quando la scorsa settimana assicurava che Kiev «non ha nulla da contestare all'Italia» perché «gli abbiamo dato tutto quello che hanno chiesto». Insomma, nonostante il «no» all'utilizzo delle armi italiane in territorio russo - posizione che in Europa condividiamo solo con l'Ungheria di Viktor Orbán - i rapporti tra il governo italiano e quello ucraino restano saldi. Perché poi la sostanza sta nelle fondamentali dotazioni per la difesa aerea - a partire dal Samp-T, ben più efficace e conveniente dei Patriot - che Roma ha fornito a Kiev in questi due anni e mezzo di guerra. E su quel fronte il governo italiano non ha mai avuto esitazioni.

Così, i quaranta minuti di faccia a faccia a Cernobbio tra Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky sono stati per la premier italiana l'occasione di ribadire il sostegno alle ragioni di Kiev, un punto su cui la leader di Fdi ha sempre avuto una linea chiara anche quando era all'opposizione. Certo, il presidente ucraino sa bene che all'interno della maggioranza che sostiene il governo italiano esistono posizioni diverse (e anche scettiche) rispetto al sostegno a Kiev. Come pure non può essere ignorata la questione del consenso, perché è evidente che l'opinione pubblica occidentale - e quindi anche quella italiana - inizia ad essere stanca di un conflitto che pur essendo alle porte dell'Europa percepisce come lontano.

Ma quel che interessa a Zelensky è la sostanza. Non a caso, nel corso del bilaterale il leader ucraino si sofferma sui dettagli proprio della fornitura del sistema Samp-T per poi assicura a favore di telecamere che con l'Italia «non c'è alcun problema», anzi «è uno dei Paesi su cui contiamo» e per questo «ringrazio Meloni per il suo impegno».

La premier, insomma, è riuscita ancora una volta a fare la sintesi, perché non è un mistero che la Lega sia piuttosto scettica - per usare un eufemismo - sul sostegno militare a Kiev. Ma come ripete spesso Meloni, quel che conta sono i voti in Parlamento e quando c'è stato da dare il via libera ai diversi pacchetti di armi Matteo Salvini alla fine non ha mai fatto mancare il suo sostegno. Certo, il tema resta spinoso, come dimostra l'incidente della scorsa settimana al termine del primo vertice di maggioranza post vacanze tra Meloni e i suoi vicepremier Antonio Tajani e Salvini. Con i due comunicati diversi inviati da Palazzo Chigi e dalla Lega, con il secondo che parla di «contrarietà ad ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini». È la vecchia versione, quella proposta dal Carroccio e poi corretta dalla premier. Si tratta di un semplice errore materiale, certo. E incidenti di questo genere possono capitare a chiunque. Ma è la dimostrazione di quanto la linea del governo italiano sull'Ucraina sia un costante compromesso tra sensibilità diverse (e distanti). Non a caso, ancora ieri e proprio a Cernobbio, l'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, è tornato a polemizzare con l'Italia. «Su Kiev - ha detto - sono d'accordo con Meloni al 100%. Le sue sono belle parole, ma sarebbe molto meglio se l'Italia permettesse all'Ucraina di usare le armi per colpire le basi russe nel territorio russo allo scopo di difendersi efficacemente, altrimenti la Russia distruggerà l'Ucraina in piena impunità». Un affondo che Meloni preferisce lasciar cadere nel vuoto, tanto che da Fdi nessuno replica Borrell. Mentre il capo-delegazione della Lega al Parlamento Ue, Paolo Borchia, non esita ad accusare l'Alto rappresentante di «ingerenza inaccettabile in un Paese sovrano».

Sullo sfondo di questo complicato equilibrio ci sono le presidenziali americane del 5 novembre. Perché è evidente che un'eventuale vittoria di Donald Trump rischierebbe di cambiare il quadro complessivo dell'approccio al conflitto tra Russia e Ucraina. E potrebbe avere contraccolpi anche in Italia.

La Lega avrebbe certamente più agio a opporsi a nuovi invii di armi e per Fdi diventerebbe sempre più difficile restare fedele alla linea pro Ucraina senza se e senza ma. Una posizione che soprattutto tra gli elettori di destra non convince affatto.

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