Di nemici l'ex ministro Sangiuliano ne aveva tanti. Dentro e fuori il palazzo del Collegio Romano. Soprattutto, nel mondo del cinema. Il sospetto che l'imboscata possa avere una regia ben precisa è messo nero su bianco dallo stesso ex ministro nella lettera di dimissioni: «Sono consapevole, inoltre, di aver toccato un nervo sensibile e di essermi attirato inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema» scrive. Ora quel sospetto confluirà nella denuncia che i legali depositeranno in Procura a Roma per capire se Maria Rosaria Boccia sia stata teleguidata da una «manina» esterna. Si guarda in più direzioni: i burocrati dell'era franceschiniana collocati ai margini del Mic, il giro di appalti sul G7 della Cultura e la sforbiciata ai fondi a pioggia per il cinema. É soprattutto in quest'ultimo campo, da sempre monopolizzato da registi e produttori vicini alla sinistra, che qualcuno avrebbe potuto mettere a punto il piano di una vendetta, servendosi di Maria Rosaria Boccia. Perché ce l'hanno a morte con Sangiuliano? La spiegazione è da ricercare nella riforma, appena varata sul tax credit e sui contributi selettivi al cinema. Una vera e propria mangiatoia in grado di mettere sul piatto una torta da 841 milioni di euro fino al 2022. Soldi sborsati senza alcuna valutazione sulla qualità del prodotto. Per fare alcuni esempi: molte produzioni italiane che hanno ricevuto generosi contributi pubblici hanno generato incassi quasi inesistenti. Qualche esempio? «Sherlock Santa» e «Ladri di Natale», due film di Francesco Cinquemani costati complessivamente 15 milioni di euro. Per le due produzioni, il ministero ha concesso un contributo statale di 4 milioni, ma l'incasso dei due film è stato di appena 13mila euro. Un discorso simile vale per «Prima di andare via» di Massimo Cappelli: «700mila euro di contributo pubblico e 29 biglietti venduti al botteghino» riportava un'inchiesta de La Verità. E nelle cifre da capogiro spuntavano compensi milionari per i registi. Su questo punto, l'ex ministro avrebbe voluto operare una vera e propria rivoluzione. L'idea sarebbe stata quella di imporre un tetto allo stipendio del regista dei film che incassano i contributi statali, equiparandolo a quello dei manager pubblici fissato a 240mila euro. Un cambio radicale che aveva messo in pre-allarme i registi della galassia di sinistra. E infatti proprio ieri, dalla Festa del cinema di Venezia, è intervenuto Nanni Moretti: «Ai colleghi produttori e registi vorrei dire che dovremmo essere più reattivi nei confronti della nuova pessima legge sul cinema». Non è rimasta invece nel cassetto la riforma del tax credit e dei contributi selettivi, che dal prossimo anno consentirà un taglio ai fondi a pioggia per il cinema. Tra le novità volute dall'ex ministro l'obbligo per le società di produzione cinematografiche di coprire il 50% delle spese con investimenti privati. E poi la grande novità riguarda il rapporto tra contributo statale e distribuzione nelle sale. Chi accede al fondo statale deve possedere un contratto con le società di produzioni in modo da garantire una qualità del prodotto e un pubblico numeroso. Ma si guarda anche in altre direzioni.
Per esempio, alle teste «tagliate» dei burocrati franceschiniani, dopo la riforma che prevede una nuova struttura di vertice al ministero: 4 capi dipartimenti al posto dei vecchi direttori generali. E infine, si monitorano anche gli appalti per il G7 della Cultura: milioni e milioni di euro che avrebbero stimolato gli appetiti della cricca.
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