Baroni e piloti, privilegiati in rivolta

Stipendi d’oro, carriere senza controllo, nepotismi, auto blu, benefit e alberghi di lusso Ecco chi sono i nuovi barricadieri che stanno bloccando il Paese: una casta di ipergarantiti

Baroni e piloti, privilegiati in rivolta

«Antiproletari di tutta Italia, unitevi!». Questo è lo slogan appropriato per un certo tipo di proteste che ormai dilaga nella penisola. I privilegiati sventolano bandiere rivoluzionarie, dicono basta alle repressioni di cui si proclamano vittime, danno esempio di impeti ribelli tra l’attonito sgomento e silenzio degli umili con mille euro al mese. Su virtuali barricate campeggiano oggi i baroni universitari e i piloti dell’Alitalia.
Non che siano stati i primi a lanciare, dopo aver sbocconcellato qualche tartina al salmone, inni guerrieri. I magistrati, che per motivi non ben comprensibili - pur essendo per arruolamento, studi e mentalità, del tutto simili alla massa dei burocrati - godono di un trattamento economico e di uno status privilegiato, strillano sempre alla minaccia fascista. E si scagliano contro un ministro che addirittura vorrebbe verificare se lavorano. I boiardi dell’amministrazione - del tutto incapaci di renderla efficiente - si strappano le vesti se appena uno dei loro troppi privilegi viene scalfito, e se si arriva al punto di voler proporzionare la carriera al merito. Del resto categorie superprotette del «pubblico impiego», certe che il loro datore di lavoro non fallirà mai, hanno scioperato assai più intensamente dei metalmeccanici e dei tessili.
Con i docenti universitari e con il personale di volo dell’Alitalia siamo - almeno così mi sembra - a un punto di non ritorno, o quasi, di questa deriva elitarpopulista. Non nego che i professori abbiano validi motivi di lamentela. Non quanti gli studenti e le famiglie, ma vogliamo essere di manica larga. Tuttavia è singolare che per l’Università - come per la giustizia - gli addetti ai lavori, responsabili dell’istituzione, parlino come se fossero spettatori indignati. Le denunce di sprechi, nepotismi, favoritismi, inadeguatezze professionali si sono riversate a valanga sull’Università italiana, ma i docenti si chiamano fuori, «io che c’entro?». Invece (non vorrei aver l’aria di ricalcare un’infelice battuta propagandistica di Follini) loro c’entrano e come. Hanno insegnato ai ragazzi - cui non par vero d’essere pappagalli - e ripetono loro stessi che il contribuente deve dare più soldi agli atenei. Secondo me, viste le dimensioni dello scandalo universitario, il ragionamento va rovesciato. Prima i rettori e i professori dimostrino di saper incidere con il bisturi sulle dilapidazioni che nelle università vengono perpetrate. Quando l’organismo in cancrena sarà stato risanato si potrà serenamente valutare quanti più quattrini sia possibile dargli (con questi chiari di luna pochi, comunque).
Quanto ai piloti, premetto d’avere enorme rispetto per il loro lavoro. So che l’essere pilota non è alla portata di chiunque. Meritano retribuzioni adeguate alle loro qualità professionali. Ma dovrebbero ricordare che l’Alitalia ha vissuto un momento tragico, che per un capello è stata salvata dal fallimento, che l’evidenza di tutto questo è tale da aver indotto a firmare l’accordo con la Cai i sindacati che tutelano il personale di terra. I sacrifici s’impongono. Lo scrivo senza voler incensare gli imprenditori associati nella Cai, sono uomini d’affari, non benefattori, e agiscono di conseguenza. Guai se fossero degli scommettitori avventurosi.
L’ostinazione puntigliosa dei piloti e degli assistenti di volo sarebbe comprensibile in tempi normali: con un’Alitalia allo sfascio io credo sia dissennata.

Per l’Alitalia - anche questo dovrebbe essere tenuto a memoria da piloti e hostess - è stato fatto, nel nome dell’italianità d’una compagnia di bandiera, ciò che non è stato fatto per tante migliaia d’altri lavoratori rimasti disoccupati. E quieti.
Mario Cervi

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