Battisti e il buonismo dei fanatici

Cesare Battisti, che dalla giustizia italiana viene ritenuto responsabile di quattro omicidi, è detenuto a Brasilia: e aspetta di sapere se quelle autorità accoglieranno o no la richiesta di estradizione avanzata dall’Italia. Il terrorista, i cui crimini risalgono alla fine degli anni Settanta, è stato intervistato in carcere da Bernard-Henri Lévy, intellettuale di rango che non è un estremista né un violento: ma che, come sovente accade agli intellettuali di rango, avverte il fascino tenebroso dei fanatici. Infatti nel colmo delle manifestazioni di Bologna di trent’anni or sono - il mitico ’77 secondo solo all’ancor più mitico ’68 nell’immaginario ribelle - esaltò con una serie di articoli le furie degli antagonisti, maneschi quando non peggio.
Ecco allora che nel suo dialogo con Battisti riportato dal Corriere della Sera, Bernard-Henri Lévy non lo incalza sul tema più importante, la partecipazione a fatti di sangue orribili. Lo vezzeggia, invece, gli dà la battuta, gli offre la scappatoia. Lo definisce a conclusione dell’articolessa «uno scrittore imprigionato». Essendo evidente, in questa qualifica, l’idea che lo scrittore imprigionato non sia più un assassino e un latitante catturato; la sua notorietà d’autore di libri di successo, il suo essere vissuto a lungo a Parigi, lo pongono al di là e al di sopra delle leggi in vigore per i poveracci. Con lui viene reclusa una mente insigne, insomma una vittima. La polizia brasiliana lo seguiva da tempo, testarda e importuna.
Cito dall’intervista. «Affittavo un appartamento e loro affittavano l’appartamento di sopra. Andavo al ristorante e loro avevano prenotato il tavolo accanto al mio. (...) Talora si accontentavano di seguirmi, di sfidarmi, di osservarmi da lontano; talvolta venivano, in piena notte, a suonare o a bussare alla mia porta. Dopo un po’ c’è da impazzire». Fino a: «Fino a quella famosa mattina, appena prima delle vostre elezioni, quando si è deciso di vendermi a Berlusconi».
Capito? Il problema è la polizia brasiliana, il problema è Berlusconi. Non costituiscono problema i cadaveri di Antonio Santoro, Pierluigi Torregiani, Lino Sabbadin e Andrea Campagna. Non costituisce un problema la condanna all’ergastolo. A proposito della quale Battisti - che sta terminando un nuovo romanzo, ma in francese, l’italiano gli è diventato antipatico - si scaglia contro i trucchi e gli inganni della giustizia italiana.
Di essi si è fatto portavoce Bernard-Henri Lévy - che considera l’innocenza di Battisti un’ipotesi più che seria - in un incontro con il ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro. Sarebbe una bruttissima cosa, ha detto al ministro, estradare Battisti verso un Paese, l’Italia, «che non giudica di nuovo i condannati per contumacia».

Il che equivarrebbe ad inviarlo alla prigione a vita, se non che «il ministro italiano della Giustizia, sapendo che il Brasile ha soppresso dal suo diritto penale la pena del carcere a vita che rischiava, dunque, fosse solo per questa ragione di rifiutare l'estradizione, ha creduto di fare il furbo scrivendo e poi telefonando al suo omologo brasiliano per dirgli “non si preoccupi, non farà il carcere a vita: arrangeremo la sua condanna e certo uscirà dal carcere tra qualche anno”».
Che insopportabili slealtà, in danno del buon uomo Battisti che oltretutto è una penna famosa. Davvero non c’è più rispetto per la cultura.
Mario Cervi

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