Il Beato Angelico ritrovato

Pittore, miniatore, e, in una veste meno nota, disegnatore, in cui le radici medievali convivono con una crescente apertura verso l’Umanesimo, che lo porta a tratteggiare un orizzonte dove Dio è onnipresente ma, al contempo, l’uomo è protagonista, in una visione mistica che adora il Creatore anche attraverso il creato.
Alle diverse espressioni dell’arte di fra’ Giovanni da Fiesole è dedicata la mostra «Beato Angelico. L’alba del Rinascimento», che, ai musei Capitolini fino al 5 luglio, è la più grande esposizione dedicata all’artista in Italia dopo la monografica del 1955 a Firenze e in Vaticano. A conclusione delle celebrazioni per il cinquecentocinquantesimo anniversario della morte di Beato Angelico, Roma - dove è sepolto, nella basilica di Santa Maria sopra Minerva - ne approfondisce ispirazione, opere e fortuna in un percorso storico-artistico incentrato sulla qualità e l’autografia delle opere, ma soprattutto sul desiderio di rinnovare l’immagine dell’artista, evidenziando i risultati dei più recenti studi sulla sua figura e rimarcando l’importanza del periodo romano, in cui giunse alla sua maturità umanistica, tra monumentalità e chiarezza narrativa. Attraverso predelle, altaroli, pale - molti recentemente restaurati, come il Trittico Corsini, e, per la prima volta, chiaramente leggibili - oltre a miniature e disegni, l’esposizione segue l’evoluzione artistica di Beato Angelico, dalla giovinezza con rimandi alle affinità con Masaccio negli anni Venti del Quattrocento, dalla piena maturità del decennio successivo al periodo romano che segna l'approdo a un umanesimo di matrice religiosa.
Pio e devoto come lo tramanda Vasari, Beato Angelico vede nell'arte uno strumento di propaganda fideistica, una sorta di predica a colori, che pensata per gli onori delle chiese monumentali possa raggiungere la gente comune, utilizzando il tratto pittorico per colpire gli occhi e arrivare al cuore. Oltre, ovviamente, a interpretarla come omaggio e preghiera. Lo spazio, architettonicamente definito e rigoroso, si veste di luce, per ospitare figure di santi e beati, oltre alle sue tante e celebri raffigurazioni della Vergine, nella duplice veste di Regina dei cieli e Madonna dell’umiltà. È proprio la luce, declinata in più tinte pastello - protagonisti assoluti, bianco, giallo e oro - a definire le figure, nella loro drammatica consapevolezza. Sfuggendo dall’iconografia classica della Madonna bambina o madre, la Vergine di Beato Angelico è la massima incarnazione della fede, testimoniata nel momento cruciale della sua storia, l’Annunciazione, moltiplicata in più opere differenti. Tra queste, quella di Dresda, che riassemblata nel XVI secolo, è qui esposta per la prima volta al pubblico.

Molti sono, infatti, gli inediti presenti in mostra, in una selezione di opere che mira a far conoscere i lavori meno noti dell’artista, consentendone, anche agli addetti ai lavori, una lettura più approfondita, dalla predella di Zagabria al frammento con «San Giovanni Battista» di Lipsia, forse collegabile alla pala di San Marco, senza dimenticare l’«Imago pietatis», su pergamena, proveniente da una collezione privata torinese. Inediti pure i laterali di trittico, qui affiancati, che rappresentano «Beati» e «Dannati», in una moderna contrapposizione di linee, colore e movimento.

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