Berlino - Chissà come la penserà quel Dio che gli tiene la mano e gli srotola il tappeto sotto i piedi. Usain Bolt gli crede e ci crede. Dice: «Solo Dio sa dove posso arrivare». Il suo è un atto di fede. Il nostro sta diventando certezza di fede, quella di un mondo che lo aspetta, lo guarda, lo guata, lo carezza, lo bacia, lo abbraccia eppoi rischia di svenire perché non riesce a toccarlo, capirlo, inquadrarlo, incatenarlo. Bolt dicci i tuoi limiti. No, troppo facile, sennò finisce il divertimento. Ieri lo ha fatto capire proprio lì, davanti ai blocchi di partenza, ad un immenso mondo televisivo e ad uno stadio non proprio pieno come avrebbe meritato un re tanto grande. Ha fatto segno con le mani: l’aereo decolla ed è decollato. Poteva andare su Marte o sulla Luna, comunque a casa sua, perché quello è il suo mondo. Ce lo raccontò il 16 agosto di un anno fa sulla pista del nido d’uccello a Pechino, ce lo ha ripetuto esattamente un anno dopo sulla linea dell’Olympiastadion, che per la storia e per l’atletica ha la magia di una reggia.
Nuovo record e titolo di campione del mondo, una novità per l’album delle meraviglie: stavolta ha corso i 100 metri in un soffio d’ala, 9”58 segna il cronometro, 11 centesimi meno di quello realizzato a Pechino. Quarantuno passi, media da motorino 37,578 km l’ora, contro i 37,075 che hanno permesso a Tyson Gay di seguirlo in scia, senza mai avere la speranza di superarlo e di segnare un fantastico 9”71. Tra Bolt e Gay c’è stato un metro e mezzo, tra Bolt e il mondo, compreso Asafa Powell (3° in 9’’84), la distanza che va dalla Terra alla Luna. Cinque uomini sotto i 10 secondi, tempi di reazione allo sparo anche migliori dei suoi. Ma poi, quando la Ferrari si avvia, gli altri vedono il fumo e capiscono che quelle spalle sono un muro più solido di quelli cronometrici.
Grandissima gara e straordinario avversario: l’americano ha perso qualcosa in avvio, poi ha tenuto botta. Bolt è partito bene, dopo aver provato tutti i brividi della vita in semifinale, quando gli è capitata la prima partenza falsa della carriera. L’altro giorno aveva detto: «Io non ne faccio mai». Mai dire mai. Avrà imparato. Meglio ascoltare Glenn Mills, padre-padrone-allenatore, che qualche tempo fa aveva profetizzato: «Il prossimo record sarà 9”58». Detto e fatto.
Ma questo Bolt è un campione dell’incredibile. Credibile, si spera, dal punto di vista chimico. Ma incredibile per quel che gli riesce, sempre più lontano di quanto si possa immaginare. «Ero venuto per vincere l’oro, non per conquistare il record. Sono felice così e adesso il cammino è lungo: sotto con gli altri due ori...» e poi «... Sì, sto lavorando per diventare una leggenda e vi assicuro che posso scendere a 9’’40», ha raccontato, ieri sera, con quella tranquillità che racchiude l’esplosione della sua forza. Messaggio per un universo che vive lo sport tra stress, tensioni e veleni. Una freccia lanciata da quell’arco che, prima e dopo la gara, ripropone il piacere del divertirsi, allunga una mano, tende il braccio ed eccolo Robin Hood di un mondo che fa sentire più ricco.
Ha corso ricalcando il sentiero di Pechino con qualche piccola variazione sul tema: 10”20 nella prima batteria, come stesse bevendo il caffè, esattamente come in Cina. Nei quarti di sabato ha giocato più che correre, chiuso in 10”03 (a Pechino era sceso sotto i 10”), lasciando vincere Daniel Bailey, ragazzone caciarone di Antigua che imita le sue mattane. Ma in semifinale ha risfoderato la marcia in più, chiudendo con il miglior tempo (9”89). La sceneggiatura di questo mondiale è riuscita a salvaguardare la sfida finale quella con Tyson Gay proprio per l’ultimo testa a testa. Gli altri sapevano d’essere solo coristi.
Anche Powell che pur ha provato a rompere l’incanto. Niente. «Ho fatto il mio miglior tempo di sempre, ma non è bastato». L’inchino è di questo Tyson, battuto ma non suonato. Una faccia da diavolo ingrugnito. Salvo scoprire che i veri diavoli hanno la faccia allegra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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