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Biden, il senatore specializzato in gaffe

Al Senato da 35 anni, ha puntato per due volte alla Casa Bianca. Nel 1988 fu costretto al ritiro: aveva copiato i discorsi

Biden, il senatore specializzato in gaffe

Joe Biden ha un sorriso da joker. Perfetto e ridicolo: «È l'unica cosa che mi aiuta a rilassare i muscoli del volto». Si allena ogni giorno davanti allo specchio. Cupo-sorridente, cupo-sorridente, cupo-sorridente. Ci vogliono ripetizioni: 65 anni non bastano a non essere nervoso in pubblico, tre decenni a Washington non bastano per rilassarsi senza problemi, uno scranno nobile al Senato non basta a controllare una parlantina incontenibile.

A scuola lo chiamavano «Dash» e lo prendevano in giro perché non riusciva a completare una frase prima di cominciarne un'altra. La testa più veloce della bocca. Pensa e dice, ripensa e ridice. La politica l'ha cambiato fino a un certo punto: l'ha reso diplomatico, esperto, competente, autorevole, ma non lo salva dalla gaffe che lo insegue da sempre, che c'è ogni volta che non dovrebbe, come una persecuzione, come un marchio, come un'ossessione. L'ultima proprio con Obama, qualche mese fa: lo chiamò «nero pulito» e fu un casino. Non aveva ancora lasciato la campagna personale, il senatore Joe. L'addio è arrivato dopo il primo appuntamento in Iowa, il 3 gennaio. Colpa di quella percentuale infinitesimale: 0,9 per cento, alla faccia dell'esperienza e del nome. Biden è rimasto fuori, in corsa da vice, anche se con il solito tradimento delle parole: «Io spalla del presidente? Meglio di no, ma se me lo chiedono dico di sì».

Per mesi la stampa ha ripetuto la stessa cosa: «È l'unico senatore che può fare da running mate». Perché o scegli un governatore oppure lui, presidente della commissione Affari esteri del Senato, democratico fedele e leale, cattolico, rispettato dal partito e dall'elettorato storicamente liberal. La sua gente è la working-class, quella che secondo molti non ama Obama perché è troppo chic e vagamente snob. Biden è nato ricco ed è cresciuto da povero. Perché il padre era un signore che giocava a polo e girava l'Atlantico con uno yacht, ma finì sull'orlo del fallimento e se ne andò a vivere nel paesino operaio di Wilmington, in Delaware: per campare puliva scaldabagni e nei fine settimana vendeva verdura al mercato.

Joe è stato allevato con l'orgoglio dell'umiltà del poco e dicono si sia portato dentro la storia del padre fino alla laurea in giurisprudenza, alla carriera da avvocato e poi in politica. Cioè dal 1973, quando arrivò al Senato a 30 anni, l'età minima per entrarci. Sei volte rieletto, senza sconfitte, nonostante gli errori e quella lingua bisbetica. Quella che l'ha tenuto sempre troppo lontano dalla Casa Bianca. Perché Biden s'è candidato due volte e mezza alle primarie democratiche e due volte e mezza ha rinunciato. Compresa quella dell'esordio, nel 1988, quando sembrava il più bravo. Joe era un piccolo Obama: in una settimana raccolse 1,7 milioni di dollari, che all'epoca erano soldi e tanti. Disse di ispirarsi al modello laburista inglese di Neil Kinnock. Troppo ispirato: lo staff di Dukakis dimostrò che copiava tutti i suoi comizi. Biden lasciò la corsa con un discorso strappalacrime e strappacuori, con citazione di Steinbeck. «Non è riuscito a dire qualcosa di veramente suo neanche nell'addio», scrissero i giornali più cattivi.

Ha resistito, Biden. Rimasto nonostante un aneurisma e un intervento al cervello, nonostante una vita privata a metà fra la tragedia e la telenovela. Sposato nel '66 con Neilia Hunter, tre figli. Nell'anno della prima elezione al Senato la moglie ebbe un incidente stradale: morirono lei e la figlia piccola Amy. I due maschi, Robert e Beau, vivi quasi per caso. Cinque anni dopo le seconde nozze con Jill Tracy Jacobs: il senatore ebbe una figlia e però perse di fatto uno degli altri ragazzi, Robert, che in rotta col padre decise di lasciare il cognome Biden per prendere quello della madre, Hunter. Era il '77, sarebbe arrivata la prima corsa alla presidenza, poi l'eterna rielezione al Senato e l'idea di una nuova candidatura alla Casa Bianca nel 2004. Ci pensò, Joe. Pareva più pronto di Kerry, più affidabile, più credibile.

L'ossessione della gaffe fu decisiva per lui e per il partito.

Dopo la nomination, Kerry gli chiese di fargli da vice: «No, grazie. Resto al Senato. Vuoi l'uomo giusto? Prendi John McCain, anche se è repubblicano. È il migliore». Pare uno spot elettorale al contrario, adesso. Ma Biden spera che gli altri se lo siano dimenticato.

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