Così parlò Paulina: «Mi piace lazzurro, mi piace luva, mi piace il ghiaccio, mi piacciono le rose, mi piacciono i cavalli bianchi». Al che lui: «Capii che la mia felicità era incominciata, perché per queste preferenze potevo identificarmi con lei». Ammettetelo: è linizio di una storia damore travolgente. O (è lo stesso?) linizio travolgente di una storia damore. E non importa se il seguito del racconto di Adolfo Bioy Casares (1914-1999) sarà infedele a tanto incipit. Se Paulina dimenticherà linnamorato narratore e di quella (narrativa) promessa di felicità farà terra bruciata: il loro passato «divenne per lei una regione deserta in cui aveva atteso Montero». Julio Montero: cioè il prossimo amore, un uomo dalla spiccata inclinazione per il kitsch, la letteratura fiacca ed enfatica, i dolci bruttissimi versi e i floreali paradisi di caramella. Non cera da aspettarsi che finisse così, anche se il protagonista di In memoria di Paulina, cui Bioy presta voce ed esperienza, lo sapeva fin troppo bene: «Vi sono donne che vivono i momenti - ognuno dei momenti - come se avessero dimenticato il passato e non credessero nel futuro». Beate loro.
Chi invece deve rinunciare a cogliere lattimo e acchiappare il momento dentro la rete di una trama, con il tempo - con il passato e il rimpianto (o lo scorno) che comporta, con il futuro e le (deluse) speranze che porta con sé - è costretto a fare i conti. Ma lo scrittore che operò per una lunga e fertile vita di prosatore accanto allamico più vecchio (e molto più noto) Jorge Luis Borges, aveva perlustrato ogni meandro del tempo reale, narrativo e surreale: addentrandosi in universi plurali e paralleli; avventurandosi dentro «la realtà - scrisse - che (come una grande città) si è estesa e ramificata negli ultimi anni»; girovagando con leterno ritorno di «infiniti mondi identici, infiniti mondi lievemente diversi, infiniti mondi differenti».
Sapeva insomma muoversi con mirabolante agilità tra bruschi salti di tempo, repentini cambio scena, imprevedibili mutamenti dumore delle fanciulle troppo presto disamorate. E, come lui, si muovono acrobaticamente fra il genere fantastico e la verosimile sorpresa, fra lamore romantico e lo scherzo birbante, linvenzione fiabesca e la più parodistica delle cronache dArgentina, anche i suoi romanzi (Linvenzione di Morel, Il sogno degli eroi, Diario della guerra al maiale, Dormire al sole...) e i suoi racconti. Sempre in equilibrio funambolico fra lerudizione raffinata (e ritrita) se, da brillantissimo salonnard, Bioy sapeva citare un detto degli antichi commentato fino alla noia - «Conosci te stesso» - aggiungendovi la chiosa da suspense: «Non ho mai sospettato fin dove mi avrebbe portato quel motto». E sempre sul crinale tra il senso del mistero (e della mystery story) e il gusto della poesia, se gli bastava evocare larpeggio di una milonga anni Venti per toccare il lato oscuro delle cose: «E appena traversi la strada/ sei dalla parte dellombra», cantava sulla chitarra Juan Ferraris.
Un segmento, un frammento, un assaggio dellopera del maestro ispanoamericano è finalmente disponibile in italiano (sparite dal commercio dagli anni Settanta le vecchie traduzioni Einaudi e Editori Riuniti di certi suoi titoli): le narrazioni composte tra il 1948 e il 1962 curate dal sedotto e divertito Glauco Felici e raccolte in Un leone nel parco di Palermo (Einaudi, pagg. 292, euro 18). È solo una fetta dellampia produzione di Bioy Casares: aveva iniziato da enfant prodige e quando, diciassettenne, conobbe Borges nel 32, scriveva da tre anni buoni. È un bel boccone però (e, si spera, unesca per gli editori che vogliano sfornare anche il resto della torta), bastevole a gustare il genio di colui che meritò di far coppia creativa con il sommo Jorge Luis ma che ne fu messo immeritatamente «sul lato dellombra».
Intesi: Borges, che agli occhi della posterità lo oscurò col suo profilo da gigante, non ha colpa. Il poeta di 15 anni più grande riconobbe, più che il talento, il suo debito al giovane sodale e compagno di scorribande letterarie. «Bioy - disse - era il vero maestro, corresse la mia tendenza al patetismo, al sentimentalismo, al barocco». E chi adesso legge questi racconti ricordando le pagine che i due firmarono a quattro mani - le pseudonime Cronache di Bustos Demecq, la serie poliziesca dei Sei problemi per don Isidro Parodi, lindistricabile Un modello per la morte che fu letto e scritto sbellicandosi dalle risate senza che ne i lettori né gli autori avessero idea della sua trama (tutti libri pubblicati in Italia ventanni fa da Studio Tesi) - non fatica a ritrovarvi il tocco inconfondibile del giovane Adolfo. Ora è evidente che a lui le pensate à deux dovevano quel più di sense of humour e di umore capriccioso, di impertinenza e passionalità, ironia vellutata e frivolezza, che aggiungono alla sostanza dellinvenzione il fermento, il sapore, il colore: come il lievito alla farina, il sale al grano, il fuoco alla crosta del pane.
Ma si può anche godere - edonisticamente - solo del companatico, della fragranza e croccantezza: prendendosi il fuoco di fila di boutade che esplodono nella scrittura solistica di Bioy. Gli sberleffi dellautore forbito fino al limite del (parodiato) accademismo, che osa i francesismi, i solecismi, i latinismi più arditi («non cera espressione oscura di fronte a cui si tirasse indietro», dice di un suo personaggio-controfigura), ma non indugia a metter fine alle citazioni con un tranciante punto esclamativo: «Che schifo la pedanteria!». Le trovate dellattraente homme à femmes - venerato tombeur il bellAdolfo fu un prototipo di (american) latin lover - che, fra una scappatella e laltra tornò sempre allindulgente e unica vera compagna della sua vita, la moglie Silvina Ocampo, coautrice del coniugale romanzo Chi ama odia.
Le arguzie del coltissimo homme de lettres che della studiata bellezza letteraria fece un principio assoluto delletica («La sua colpa non era dessere un uomo ingiusto, ma uno scrittore inesperto», scrive ritraendo un giovane poeta), un valore dellestetica («Mi chiesi se potesse esserci una frase tollerabile in cui figurasse il termine leggiadria»), un segno didentità («Giuro di non avere mai scritto la frase Accuso ricevuta della gradita sua») e una regola di pedagogia («Le epifanie. Ci si abitui a cercare i termini sul dizionario»).
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