Bocca, il razzismo del bollito

Baluba, fora dai ball. Tornatevene a casa vostra. Mi avete rovinato il bollito. Finalmente un editoriale come si deve di Giorgio Bocca: dimenticati per un attimo le montagne partigiane e l'antiberlusconismo ad alta gradazione, il giornalista cuvée centra l'argomento da par suo: non se ne può più di tutti questi extracomunitari. Hanno rovinato il nostro Paese. Questa volta bisogna dirlo. Perché si può anche sopportare il fatto che rubino o che spaccino o che mandino le donne a battere sui viali. Si può accettare che reclutino kamikaze in viale Jenner, si può chiudere un occhio se ci accoltellano all'angolo della strada o se stuprano le nostre ragazze. Ma c'è una cosa che proprio non si può tollerare: non sanno cuocere la carne. Ci hanno guastato il bollito.
Non stiamo scherzando, è un problema serio. Merita un editoriale sull'Espresso, merita l'attenzione di Giorgio Bocca. Perché l'integrazione va bene, l'accoglienza, il dialogo, il reciproco rispetto, il multiculturalismo, la convivenza e la tolleranza sono virtù indiscutibili. Che, però, sia chiaro, si fermano a un passo dal cotechino con salsa verde. Due metri prima dello zampino con la peverada. Perché, diciamocelo, questi immigrati non imparano la lingua, ma soprattutto non imparano la testina, la lonza e la rollata. Ma ci pensate? Se parli loro di coda pensano alla questura e non alla vaccinara; se dici guanciale ti portano un cuscino. E soprattutto non rispettano le regole della mostarda e dei funghi trifolati. Infrangono la legge. Dello Stato? Sì, ma soprattutto della lepre al civet.
Sia chiaro: questo non è razzismo. Al massimo, razzismo del bollito. Con contorno di patata lessa. Molto lessa, per la verità. Ma in quanto pubblicata su settimanale debenedettiano, assai radical e assai chic, riteniamo che il sentimento gastro-xenofobo sia sdoganato nei salotti buoni del Paese. Per cui citiamo, con deferenza da gourmand: pagina sette, firma in rosso, fotina sobria. Titolo: «Il bollito sempre cotto al punto sbagliato». Più che un titolo, un grido di dolore. Ora io dico: com'è possibile fargli un torto così? Il bollito, capite? Proprio il bollito cotto male? A lui che, si sa, non è mai stato di Bocca buona. Di questo passo dove finiremo? Passi l'11 settembre, passino Bin Laden e la testa tagliata a Nick Berg: ma la vera tragedia è che non si trova una cuoca che sa fare la bagna caouda.
Ma sì, persino nelle Langhe sono arrivati cous cous e kebab, che mal si sposano col dolcetto e pure col barbaresco. E così il grande inviato ha ben ragione di lamentarsi: abbiamo abbandonato le nostre tradizioni. Il crocifisso? Il presepe? Le radici cristiane? Macché: «Il modo di cuocere, condire, friggere, mettere in savor». Si capisce: non sappiamo più mettere in savor. Soprattutto non lo sanno fare a casa Bocca: «Avrò cambiato in questi anni sei o sette immigrate ai fornelli, ma un bollito cotto da bollito, piemontese o emiliano, non l'ho più mangiato, sempre stopposo, sempre cotto al punto sbagliato». AAA, cercasi disperatamente donna di servizio per illustre giornalista. Si richiede: conoscenza dell'arrosto, pratica di scaloppine, buone referenze sullo stufato di bue. E, possibilmente, razza ariana.
Diciamolo una volta per tutte: basta con questi neghèr in cucina. Com'è che diceva Calderoli? Ecco, bravi: basta con i bingo bongo ai fornelli. Giorgio Bocca, che già fu razzista antisemita in gioventù e poi sostenitore del leghismo barbaro delle origini, ha trovato finalmente una nuova collocazione politica: la xenofobia enogastronomica, il lepenismo dei fornelli, il pogrom quattro stelle michelin. Gli immigrati vanno cacciati coi forconi, anzi no, con le forchette in pugno. Basta con queste cuoche che infarciscono le carni piemontesi di agli e radici schiacciate, basta con gli odori d'Oriente, con il meticciato culinario, la mescolanza di condimenti. Ci vuole la purezza del sangue. E, ammesso che ci sia qualche differenza, del vino. Barbera rossa la trionferà.
L'articolo è ricco di spunti, oltre che di spuntini. Bocca si lamenta anche per il fatto che non ci sono più i camerieri di una volta, le persone di servizio di una volta, le tate di una volta. «Signor padrone», si sa, non suona bene quando viene pronunciato con accento ecuadoregno o filippino, anziché con la «o» larga delle madamin d'na vota. E poi questi immigrati pensano sempre ai fatti loro, pensate un po': vorrebbero persino guadagnare due soldi lavorando, al contrario del grande inviato che, come è noto, scrive i suoi articoli gratis. Articoli, sia chiaro, che si bevono tutti d'un fiato come certi bicchieri di barbera. Anche l'effetto è simile: alla fine, in realtà, l'impressione è che la fotina in alto sia l'unica cosa sobria della pagina. «Ecco perché non amiamo questa umanità forestiera», riassume il distico. La foto mostra una cuoca ai fornelli, pentolone e condimenti. Sintesi finale: non amiamo questa umanità forestiera perché non sa cuocere stinco e muscoletto.

E noi non possiamo, per una volta, che essere d'accordo con il maestro antica riserva: ci vuole la purezza della carne. Il neo-razzismo al rosmarino. La selezione dell'abbacchio che si scioglie in Bocca. Perché, chiaramente, l'umanità si divide in due: quelli che non fanno i bolliti. E quelli che lo sono.

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