Con i 197 miliardi di dollari aggiunti nella sola seduta di venerdì scorso alla sua capitalizzazione, Meta ha reso ancora più ricco Mark Zuckerberg, ma ha anche alimentato il dibattito sul futuro delle regine dello Standard&Poor’s 500. Il timore, peraltro non condiviso da tutti, è che prima o poi Wall Street debba fare i conti con lo scoppio di una bolla simile a quella che, all’inizio del terzo millennio, portò all’implosione delle dot com. Allora, cinque titoli erano i dominus del mercato: Microsoft, Cisco, GE, Intel ed Exxon. Oggi sulla ribalta ci sono i “Magnifici Sette“, detti anche “Mag 7“, un drappello di titoli di cui fanno parte Alphabet, Apple, Microsoft, Tesla, Nvidia, Amazon e Meta e il cui peso sull’S&P500 è misurato dai 12mila miliardi di ricchezza borsistica, ovvero il 29% dell’intero indice.
Se nel 2023 il flusso di acquisti si era incanalato con decisione verso i Mag 7 con uno iato tra la loro performance (+75%) e quella delle altre 493 società quotate (+14%), questo primo scorcio di ’24 sta confermando che la musica non è cambiata. Da gennaio, questi sette titoli sono già saliti di oltre il 9%, mentre il resto del mercato è cresciuto solo del 2 percento. In poco più di tre anni, i simboli dell’hi-tech a stelle e strisce hanno garantito un rendimento medio del 28% senza subire prima gli scossoni del Covid (anzi, uno straordinario volano per le vendite della creatura di Jeff Bezos) e poi i molteplici rialzi dei tassi decisi dalla Federal Reserve. Bilanci solidi, margini elevati e l’euforia che ha circondato lo sviluppo dell’intelligenza artificiale sono i pilastri su cui hanno costruito le loro fortune in Borsa.
Bank of America ritiene però che questo trend ascensionale non possa continuare a causa dei cambiamenti a livello macroeconomico e geo-politico, delle numerose azioni legali antitrust in cui sono coinvolti questi giganti e degli sviluppi ancora incerti dell’AI. Goldman Sachs è convinta che il solo modo per reggere questo passo sia continuare a far correre i ricavi.
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