Pil e inflazione americani allontanano il taglio tassi

Negli Usa crescita dimezzata e forte fiammata dei prezzi. Panetta: «Agire in ritardo comporta il rischio stagnazione»

Pil e inflazione americani allontanano il taglio tassi
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“Washington, abbiamo un problema”. Sia dal punto di osservazione dello Studio Ovale, sia da quello di Eccles Building, all’orizzonte si va profilando una stagflazione “made in Usa”. Il mostro bicefalo in cui convivono alta inflazione e crescita stagnante è in fieri nelle cifre diffuse ieri dal Bureau of economic analysis (Bea), quelle capaci di gelare i mercati poiché rendono un puntino sempre più indistinto la possibilità di un taglio dei tassi.

Sarà anche stata fondata da Richard “Tricky Dick” Nixon, ma le cifre dell’agenzia federale non mentono: il Pil è salito nel primo trimestre di appena l’1,6%, con un crollo superiore al 50% rispetto al 3,4% del periodo ottobre-dicembre ’23, mentre l’inflazione è balzata dall’1,6% dell’ultimo “quarter” dello scorso anno al 3,1%. Due percentuali sufficienti per smontare in un sol colpo la narrazione delle magnifiche sorti e progressive della Bideneconomics. A sei mesi dall’appuntamento con le urne il presidente si trova a fare i conti con un afflosciamento della crescita desinata a riverberarsi anche sul mercato del lavoro e con un’ascesa dei prezzi non ancora domata. Meno occupati, e quindi più scontenti, che andranno a ingrossare le file degli arrabbiati per il pieno di carburante e il carrello della spesa rincarati, oltre alla rata del mutuo. Del resto, la causa prima del trend del Pil è stata la minor propensione degli americani a fare acquisti, con i consumi cresciuti del 2,5% rispetto al +3,5% del quarto trimestre, e contestualmente a un’ulteriore erosione del tasso di risparmio (dal 4 al 3,6%). Insomma: John Smith sta tirando la cinghia. E alle elezioni se ne ricorderà.

Nonostante le ripetute strette, la Fed si sta intanto rendendo conto di essere piombata in una specie di gioco dell’oca in cui il segnalino della politica monetaria è tornato al Vicolo Stretto. Con l’inflazione sopra al 3%, anche le colombe della banca centrale saranno costrette a ripiegare le ali e ad ammettere che margini per un allentamento del costo del denaro non ve ne sono. Il FedWatch Tool del Cme stima un solo ritocco verso il basso dei tassi in dicembre, la miglior espressione del brusco raffreddamento delle aspettative. Seduta dopo seduta, i mercati stanno prendendo coscienza che l’happy end (atterraggio morbido e taglio dei tassi) non ci sarà. E reagiscono di conseguenza. Dopo aver perso 600 punti a inizio giornata, Wall Street cedeva l’1% a un’ora dalla chiusura, mentre i rendimenti del T-Bond decennale si arrampicavano fino al 5% e le Borse europee inserivano la retromarcia (-0,97% Milano). In più di un’occasione la presidente Bce, Christine Lagarde, ha confermato che sussistono le condizioni per abbassare i tassi in giugno.

E proprio ieri il governatore di Bankitalia Fabio Panetta ha detto che per la Bce «agire in modo tempestivo è di fondamentale importanza» per evitare che si materializzi una nuova fase di lunga stagnazione dell’economia europea. Eppure, a questo punto, nulla pare più scontato. Anzi. Qualcuno teme di dover presto sentire questo: “Francoforte, abbiano un problema”.
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