Branciaroli «arruola» Bene e Gassman

Dopo la vitale iniezione di creatività straniera propostaci dal Teatro di Roma la scorsa settimana con il coraggioso Amleto del trentanovenne regista lituano Oskaras Korsunovas e con il dirompente One man dell’inglese Steven Berkoff (magistrale prova d’attore in bilico tra pantomima, satira sociale e straordinaria plasticità nell’incastro di parola e azione), l’Argentina torna alla nostra scena nazionale e si appresta a ospitare uno tra gli spettacoli più attesi del cartellone 2008/2009. Questa sera debutta infatti una versione curiosa e originale del Don Chisciotte di Cervantes dove Franco Branciaroli (curatore del progetto e della regia oltre che unico interprete) si diverte a imitare le voci di due celebri mattatori quali Vittorio Gassman e Carmelo Bene e ad affidare loro le parti rispettivamente dell’hidalgo sognatore errante per la Mancha e del suo scudiero Sancho Pancia, facendoli dialogare e interagire in un gioco metateatrale e metaletterrario che ovviamente intercetta e ingloba citazioni, allusioni, digressioni tra le più varie. Immaginate una struttura a specchi in cui, partendo dal ben noto romanzo secentesco, Branciaroli - già acclamato da pubblico e critica in questa nuova e corposa sfida - si divide in due anime, mantenendo però l’integrità di un giocoliere/sciamano che, bevendo e fumando fino all’eccesso (e non potrebbe essere diversamente viste le due figure qui evocate), trasborda a tutti gli effetti in un monologo volentieri incline all’ironia, alla riflessione sull’oggi, al confronto artistico tra due nomi/simbolo capaci di trovare sicura rispondenza nell’immaginario del pubblico. «Li immagino nell’aldilà - spiega l’interprete - mentre confessano che avrebbero sempre voluto mettere in scena il libro più d’avanguardia che ci sia, il Don Chisciotte. Li faccio parlare e così, accanto ai personaggi dell’hidalgo e di Sancho, riprenderanno vita anche i loro dialoghi, i loro battibecchi, i loro vezzi speculativi».
E ciò anche se in realtà Gassman e Bene non lavorarono mai insieme. O meglio: ciò proprio «perché» essi condussero due esistenze e due vite artistiche del tutto separate, se non addirittura antagoniste.

A unirli in un destino comune è dunque ora questo lavoro arguto, intelligente, raffinato (figlio in un certo senso del precedente Finale di partita in cui Hamm parlava con la voce dell’ispettor Clouseau), dove ci sembra che il teatro faccia essenzialmente i conti con la sua stessa storia e con la sua innata possibilità di «moltiplicare» le prospettive di senso, le presenze vive e quelle alluse, gli scenari letterari e filosofici, gli sguardi sul presente. In una parola: la sua capacità di raccontarci e di raccontarsi. Da non perdere!
Fino all’8 febbraio.

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