Bufera sul «New York Times» per lo scandalo rosa di McCain

I repubblicani fanno quadrato. Il portavoce della Casa Bianca attacca il quotidiano

da Washington

È un modo di dire nato in America, anche se ormai popolare anche in italia: «Quando il gioco si fa duro, sono i duri a scendere in campo». E li vediamo in questa fase della campagna elettorale Usa: la bordata carica a veleno del New York Times contro John McCain sta già trovando degna risposta e non è destinata a rimanere l’unica. La vicenda della amante-lobbista è costruita con abilità. Non è, per intenderci, uno di quegli scandaletti alla Bill Clinton in cui di politico c’era ben poco e di letto tanto. Qui si vuole colpire McCain non al di sotto, ma ben al di sopra della cintola. Che l’amante ci sia stata o meno è secondario. Quello che conta è la lobbista, una parola che suscita pensieri torbidi in qualunque ascoltatore o lettore, molto più di quanto possano fare le insinuazioni di tipo sessuale anche in un Paese puritano come questo.
L’hanno capito subito i difensori di McCain, che hanno reagito con prontezza tale da far supporre addirittura che l’avessero previsto, ipotesi non assurda dal momento che si tratta di una storia tutto sommato riscaldata, risalente alla prima candidatura presidenziale, quella contro George Bush nel 2000. McCain è ormai irrevocabilmente il candidato repubblicano alla Casa Bianca. La sua ascesa ha sconvolto, si sa, i piani dell’establishment repubblicano, che però l’ha rapidamente accettata. McCain si è già messo alla ricerca di un vice, ed era circolato il nome di Condoleezza Rice. Ma ieri l’attuale segretario di Stato si è chiamata fuori: «Non mi candidai neppure a rappresentante d’istituto ai tempi del liceo, è una cosa che non è nei miei geni», ha detto.
Il punto di forza di McCain non è l’ortodossia ideologica, né un insieme coerente di programmi e di disegni come quello che ha dominato il Gop da Reagan in giù. È la sua immagine di rettitudine anche scomoda, codificata nelle sue proposte di legge per moralizzare le campagne elettorali. L’attacco è dunque pericoloso anche se non sembra, almeno per il momento, aver prodotto effetti in campo repubblicano. Anzi, nel mirino è finito il direttore del New York Times, Bill Keller, attaccato da destra e sinistra con l’accusa di sensazionalismo. Contro Keller e i suoi giornalisti è scesa in campo perfino la Casa Bianca: «È un giornale che fa i salti mortali per sganciare bombe sui candidati repubblicani», ha detto il portavoce Scott Stanzel: «Ce ne siamo accorti tutti nell’ultimo paio di campagne: lo fanno a scadenza regolare». Decisa la replica di Keller: «Sapevamo fin dall’inizio che avrebbero cercato di cambiare discorso facendoci la guerra. Usano il New York Times per unificare la base», ha detto. Il direttore ha aperto il sito online del giornale alle critiche e alle richieste di chiarimento. Ne sono arrivate quasi 2.500: lettori preoccupati per l’uso di fonti anonime, altri che avrebbero voluto il pezzo pubblicato prima. Molti si sono chiesti perchè il Times abbia aspettato quando il lavoro investigativo era pronto a dicembre, e perchè, se aveva dubbi sul conto di McCain, ha comunque regalato al senatore l’endorsement alla vigilia delle primarie di New York in febbraio.

Secondo le indiscrezioni la decisione di andare in stampa avrebbe provocato un braccio di ferro tra i reporter, due dei quali hanno lasciato in corso d’opera, convinti di avere un’inchiesta a prova di bomba, e lo stesso Keller che avrebbe chiesto una riscrittura per inserire la vicenda della lobbista sullo sfondo della carriera di McCain.

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