Il buon senso dimenticato

I genitori di Maria Antonietta Multari, la giovane donna accoltellata selvaggiamente a Sanremo dall’ex fidanzato Luca Delfino si sono scagliati, più che contro l’assassino, contro i magistrati che gli avevano concesso la libertà. Li capiamo. È, il loro, un ragionamento che non fa una grinza. Considerano il Delfino un pazzo pericoloso, come tale - più o meno - catalogato dagli psichiatri. La polizia, che riteneva d’aver raccolto indizi convincenti della sua colpevolezza per l’ammazzamento a Genova di un’altra ex fidanzata, lo voleva in galera, e in galera lo voleva anche il buon senso. Niente da fare, l’hanno mollato. La Procura di Genova spiega ora che c’erano molti indizi «ma mancava la prova», la pistola fumante. Gli zelatori d’un garantismo esasperato potranno anche inchinarsi di fronte a questa logica che ha portato Maria Antonietta alla tomba. La maggioranza degli italiani non s’inchina.
Si obbietterà che i giudici sono costretti ad affrontare dilemmi angosciosi, e che non devono essere chiamati a rispondere d’errori commessi in buona fede. La spiegazione non ci appaga, perché le toghe non hanno esitato a tenere in carcere per mesi, con pezze d’appoggio anche molto deboli, personaggi antipatici, screditati magari politicamente invisi, sicuramente sgradevoli, ma non sanguinari. I criteri di valutazione vigenti nei Palazzacci divorziano troppo spesso dai criteri di valutazione dei cittadini onesti. La ricattura d’un piromane conclamato è una buona notizia, ma non basta per cancellare lo sgomento causato dalla sua precedente scarcerazione. E il fatto che sia indagata a piede libero una automobilista che, ubriaca, ha travolto e ucciso un pensionato, fa a pugni con gli annunci di severità declamati dal governo - proprio su questo specifico tema - pochi giorni or sono. Viene ogni giorno sottolineato il distacco crescente della politica dai sentimenti e dai risentimenti della gente comune. La stessa constatazione vale per la magistratura, e per il suo rapporto con gli italiani. Che brutta situazione quella d’un Paese che non si fida né di chi fa le leggi né di chi le interpreta e applica.
Temo purtroppo che questo sia, in larga misura, un male bipartisan. Non per caso l’indulto, misura sconsiderata, ebbe fautori in entrambe le ali dell’arco partitico. Mastella, con democristiana soavità, dice che non siamo più al tempo degli antichi romani, e con il popolo che al Colosseo decideva della vita o della morte di accusati. Altri secoli. Ora siamo al tempo dei nuovi romani, che non mi pare facciano meraviglie né nei Palazzi del potere né nelle aule dei tribunali.
Nessuna persona per bene vuole una giustizia impulsiva e vendicativa, che si lasci condizionare dalle emozioni del momento. Così come nessuna persona per bene vuole una giustizia pasticciona, lassista, insopportabilmente lenta, volta a volta vessatoria o negligente: la nostra giustizia. I magistrati possono chiedere a noi cittadini che non ci si accanisca nei loro riguardi quando un innocente rimane per qualche tempo in carcere se si è troppo pronti ad accanirsi quando un colpevole viene messo fuori. Ma c’è un limite a tutto, e con Luca Delfino il limite è stato superato.

Anche perché i magistrati sono pronti a usare severità e a iscrivere nel registro degli indagati medici e ingegneri (per manchevolezze non criminali loro attribuite) ma le loro proprie manchevolezze non le iscrivono da nessuna parte.

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