Burlando resiste, ma ora è ostaggio di compagni e centristi

Il governatore viene rieletto, ma per battere Biasotti è obbligato a far convivere gli opposti. Primo ricatto: la sua vice sarà la dipietrista Fusco

Burlando resiste, ma ora è ostaggio di compagni e centristi

Claudio Burlando, Pd, alla testa di una coalizione di centrosinistra particolarmente eterogenea allargata all’Udc, vince 52 a 48 l’elezione contro Sandro Biasotti, alfiere del centrodestra, e si conferma governatore della Liguria, ma comincia subito a perdere potere a favore di Italia dei valori. Il partito di Antonio Di Pietro e, in Liguria, di Giovanni Paladini, è protagonista nella regione rossa di un’affermazione notevole e ottiene oltre l’8 per cento dei consensi - a fronte dell’1,3 delle scorse amministrative - in buona parte proprio a scapito del partito del presidente riconfermato della Regione. Tanto che i dipietrini già mettono le mani avanti e, fin dalle prime dichiarazioni di euforia post-scrutinio, fanno chiaramente capire di pretendere la poltrona di vicepresidente della giunta, a favore di Marylin Fusco, giovane e rampante pin up del consiglio regionale uscente.

A proposito dell’Idv, per dare solo un’idea del tipo di gratificazione «indiretta» ricevuta dal partito: tra i candidati eletti nel listino legato al presidente Burlando, c’è anche la hostess paladina delle lotte dei precari Alitalia, Maruska Piredda. E dire che la candidatura della pasionaria aveva provocato parecchi maldipancia nell’Idv, e lo stesso Di Pietro a Genova l’aveva dovuta difendere come «una candidatura di cui essere orgogliosi».

Esce ridimensionata, invece, l’Udc di Pier Ferdinando Casini e, a livello locale, di Rosario Monteleone che qui aveva scelto di apparentarsi con il centrosinistra, ufficialmente «per fermare l’espansione della Lega anche in Liguria». L’ambizione di rappresentare l’ago della bilancia è stata sconfitta dagli elettori che hanno attribuito all’Unione di centro meno del 4 per cento dei voti, pochi centesimi in più delle regionali del 2005 quando il partito era parte integrante della coalizione di centrodestra.

Lo spostamento dei suffragi, se non è servito al «decollo» dell’Udc, è bastato però - lo ha immediatamente sottolineato anche il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, leader riconosciuto del Pdl in Liguria - a determinare in pratica il risultato a scapito di Biasotti, nonostante la buona affermazione del Popolo della libertà (oltre il 28 per cento, più del Partito democratico a livello ligure) e della lista civica che si ispirava al candidato del centrodestra (oltre il 6 per cento).

Non è stata nemmeno sufficiente, comunque, per Biasotti - che, dopo essersi complimentato con l’avversario, ha annunciato di rinunciare al seggio in Regione per restare a «lavorare come deputato» - l’affermazione indiscutibile del Carroccio che, al di là dell’analisi partigiana dei rappresentanti dell’Udc, supera il 10 per cento, oltre sei punti in più di quanto aveva ottenuto nel 2005.
Sul fronte opposto, al di là delle dichiarazioni ufficiali e dell’esaltazione contingente per la vittoria, si apre uno scenario non certo in discesa: una maggioranza che va dall’Udc a Rifondazione comunista, con tutto quello che comporta nel momento in cui si dovranno affrontare problemi come la difesa della famiglia o la scuola privata, si presenta tutt’altro che omogenea. Senza contare la citata spina nel fianco di Italia dei valori.

In generale, l’analisi dei dati di queste elezioni regionali testimonia chiaramente che è proseguita la progressiva erosione del «potere rosso» in una regione che aveva garantito per decenni maggioranze bulgare alla sinistra.

Eppure, evidentemente tale erosione non è ancora arrivata a rovesciare in modo stabile e soprattutto irreversibile la situazione, come era riuscito infatti in una sola occasione, alle regionali del 2000, con l’allora uomo nuovo Sandro Biasotti. Ieri, tutta un’altra storia.

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