Burri e Guttuso alle Scuderie del Quirinale: sarebbe stato bello vedere accostata per la prima volta lopera di due artisti tanto diversi tra loro ma ambedue testimoni e interpreti della generazione degli anni più difficili delle illusioni ideologiche, della guerra e del doloroso travaglio della storia dItalia tra fascismo e antifascismo. Una mostra così lavrebbero potuta chiamare «Il rosso e il nero»: con il «nero» Burri a macerare poeticamente la estetica della materia bruta dei campi di concentramento del Texas, e il «rosso» Guttuso a consumare la sua realistica sensualità popolaresca nella fatale illusione del «mondo nuovo» da guadagnare col comunismo. Sarebbe stato davvero un confronto deccezione su due pagine-chiave della storia dellarte di questultimo mezzo secolo. Che avrebbe fatto la gioia di un altro grande spirito della cultura artistica italiana, Cesare Brandi, ammiratore tanto del «realismo» di Guttuso quanto del raffinato «materismo» di Burri.
Così invece non è stato, per questa occasione (speriamo nella prossima). Roma ha infatti preferito dedicare attenzione alla particolare influenza dellopera di Burri in Italia e allestero dopo che i suoi «sacchi», le sue plastiche bruciate, i suoi cellotex e i suoi cretti monocromi e altamente stilizzati hanno avuto grande successo facendo il giro del mondo («Burri, gli artisti e la materia 1945-2004», fino al 16 febbraio). Lesposizione, curata da due massimi esperti dellopera di Alberto Burri (Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni) è guidata da un filo di acuta intelligenza formale per accostamenti tra artisti anche molto lontani tra loro, eppure tutti dominati da quella «passione della materia» che determinò la poetica centrale del maestro di Città di Castello.
E così al «nero» Burri, che dalla memoria della prigionia nei campi americani trasse il fascino visivo di lacerati sacchi di juta o di materie plastiche bruciate, si aggancia la poesia della pittura «esistenziale» densa e sovrapposta di Jean Fautrier, che meditò sui lacerti umani devastati dalla violenza militare e dalla oppressione dei regimi totalitari. Su questa falsariga estetica, ma per motivazioni diverse, si muovono anche personalità di spicco come il manierista astratto-informale Antoni Tapiès, il maestro «art brut» Jean Dubuffet, e in un certo senso perfino le meditazioni spaziali di Lucio Fontana, il grafismo esistenziale di Cy Twombly, la gestualità trattenuta e commossa di Franz Kline, fino a lambire la poetica nuova del new dada americano: il primo Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine.
Questa esaltazione di qualità «alchemiche» degli elementi primari ricorda un poco quel misterioso «potere di immaginazione della materia» evocato dal guru dello strutturalismo francese Gaston Bachelard. E la mostra di Roma colpisce proprio per le sintonie visive che attraversano il tempo, lo spazio e la stessa dimensione stilistica degli artisti presenti: dallinformale alla gestualità di Yves Klein, alla pop art italiana di Schifano, Ceroli e Pascali, alla astrazione concreta di Leoncillo, al nouveu réalisme di Rotella, Arman e César, al neo-dadaismo di Canzoni, alle strutture astratte e materiche di Uncini, alla sequela dellarte concettuale, con i vari Kounellis, Pistoletto, Zorio, Penone (oltre al famosissimo Jospeh Beuys, guru post-sessantottino del comportamento, e naturalmente dei più recenti e noti Schnabel, Kiefer e Damien Hirst).
Con loro fanno capolino alla mostra altri autori che hanno illustrato le traballanti peripezie dellarte contemporanea italiana (Ettore Colla, Gino Marotta, Salvatore Scarpitta) per una complicata varietà di espressioni opportunamente riassumibile nellelastico contenitore del «materismo» di cui Alberto Burri è stato per mezzo secolo indiscusso campione.
LA MOSTRA
Burri, gli artisti e la materia 1945-2004
Roma, Scuderie del Quirinale.
Fino al 14 febbraio.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.