«Con Busco un rapporto burrascoso»

Per la prima volta, vent’anni dopo, i familiari di Simonetta Cesaroni parlano in aula del delitto. Raccontano di come fossero burrascosi i rapporti che la giovane segretaria aveva con il fidanzato di allora, Raniero Busco, che oggi siede sul banco degli imputati con l’accusa di omicidio volontario, dello strano comportamento di Salvatore Volponi, il datore di lavoro della giovane uccisa con 29 coltellate il 7 agosto del 1990 in un ufficio di via Poma, e di quello della portiera, Giuseppa De Luca, la moglie di Pietrino Vanacore, inizialmente coinvolto nell’inchiesta e poi prosciolto. L’imputato, sospetta la Procura, potrebbe aver avuto uno scatto d’ira quando Simonetta gli rivelò di avere un ritardo nel ciclo. La terza Corte d’Assise dovrà decidere se le prove contro di lui siano sufficienti per condannarlo.
Si comincia dall’inizio, dai ricordi della mamma e della sorella della vittima, Anna di Giambattista e Paola Cesaroni. Mentre parlano Busco rimane impassibile. L’imputato lo conoscevano solo di sfuggita, le presentazioni ufficiali non c’erano state, anche se Simonetta amava quel giovane da un anno e mezzo. Un amore non ricambiato. Lei avrebbe voluto un rapporto più serio, lui preferiva uscire con gli amici, frequentava altre ragazze. «Sapevo che le cose non funzionavano, lui non era docile con lei e Simonetta soffriva per questo», racconta la mamma. Anche Paola sapeva dell’insoddisfazione sentimentale della sorella: «Lei era innamorata, ma non era ricambiata». Il pm Ilaria Calò la incalza con domande che riguardano i timori di Simonetta sul ritardo del ciclo: «Il 5 agosto mi disse che il medico le aveva prescritto delle analisi da fare prima di assumere la pillola. La sera prima, durante un rapporto con Raniero, aveva visto tracce di sangue e si era un po’ preoccupata». I suoi tormenti amorosi Simonetta li metteva per iscritto. Il pm ha chiesto l’acquisizione di tre lettere in cui la giovane parla delle sue delusioni: una è indirizzata a Babbo Natale («Solo indifferenza e sesso da una persona che mi sta usando, vorrei che almeno una volta mi dicesse “ti amo”»), un’altra all’amica Donatella («Sono scesa sempre più in basso. Io non sono niente per lui, mi maltratterebbe se potesse»), e infine un biglietto in cui dice a Raniero «Ti amo tanto, spero che un giorno capirai di aver sbagliato».
Tocca sempre alla mamma e alla sorella di Simonetta ripercorrere in aula i momenti che hanno preceduto la scoperta del cadavere. Le preoccupazioni della famiglia cominciano verso le 19,30, quando non la vedono rincasare alla solita ora. Alle ricerche partecipa anche l’allora fidanzato di Paola, Antonello Barone, anch’egli ascoltato dalla Corte. Sia lui che Paola parlano dello strano comportamento del datore di lavoro di Simonetta, che li portò in via Poma. «Era ansioso e agitato - racconta la sorella - mi sembrava esagerata la sua reazione. Ho avuto la sensazione che ci abbia fatto perdere tempo. Era in confusione, poco efficiente». Sensazione condivisa da Barone: «Era più ansioso di noi, molto confuso sul nome della persona che avrebbe potuto aiutarci ad individuare l’ufficio di Simonetta». Uno strano comportamento anche quello della portiera dello stabile, Giuseppa De Luca. «Prima disse che aveva le chiavi per aprire la porta dell’ufficio - ricorda Paola - poi le ha estratte dalla tasca e ho quasi dovuto insistere perché aprisse». Più tardi, dopo che fu scoperto il cadavere e venne chiamata la polizia, la custode continuò a comportarsi in modo insolito. «Agli agenti disse che non aveva le chiavi - continua Paola - strano visto che ci aveva aperto poco prima e che continuava a tenerle in mano».

Un’altra stranezza su Volponi la ricorda Barone, fecendo intendere di aver avuto l’impressione che il datore di lavoro di Simonetta conoscesse bene quei luoghi, contrariamente a quanto voleva far credere: «Non ho sentito dire alla portiera che l’ufficio Ostelli della Gioventù fosse al terzo piano. Ho visto però Volponi salire spedito verso quel piano».

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