BUZZI Il retrogusto della letteratura

Amico di Steinberg e aiuto regista di Lattuada, a 95 anni si definisce «giovane scrittore»

Mai più strizzata l’insalata dopo aver letto Aldo Buzzi. Era a portata di mano come la scoperta dell’acqua calda la sua scoperta dell’acqua fredda sulla lattuga (Boston Lettuce precisa nel «diario di un attimo» La lattuga di Boston, Ponte alle Grazie), ma è la mano di un mago quella che presenta il più trascurabile dei contorni come un prodigio di foglioline stillanti sapore, impregnate di (buon) umore, imbevute di succo d’oliva. Il trucco è presto detto (ed è ben scritto, in L’uovo alla Kok): se l’insalata è tolta grondante dal reticino, o scotitoio («come si diceva una volta»), l’acqua porta a galla il gusto dell’olio e lo fa spiccare più puro, intatto, extravergine. Il libro è un Adelphi del 1979, riproposto nel 2002 in «edizione riveduta e ampliata».
Buzzi mi torna in mente ogni volta che, a Milano, vicino alla Statale, ripasso davanti a «la trattoria scavata nel fianco della chiesa rossa di San Nazaro», quasi che, per una liturgia profana, si potesse apparecchiare nell’abside alle spalle dell’altare. «È sempre lì?», mi chiede lui che ci si era fatto servire le sgrammaticate e pur saporite Farfalle alla matricina. Sempre lì, con la sua vecchia insegna Alla Lanterna. Ma in qualsiasi ristorante od osteria non si manca di controllare le regole con cui Buzzi stabilisce l’ospitalità del locale dove sfamarsi: niente luce fredda, niente lampade al neon, niente piani di marmo. Solo legno, sedie imbottite e tavolo grande: anche per un solo commensale, meglio se si è in cinque però «e non uno di più, sennò la compagnia si divide, come un’ameba». Ammessa, per indulgenza eccezionale, la peparola, il simpatico recipiente per il «pepe macinato da tempo», o «pepe bigio»: quello che fa rabbrividire i gourmet con la puzza sotto il naso ma solletica il naso e dà un brivido di commozione a chi ci riconosce il sentore degli angoli di casa, dei vizi addomesticati, della polvere stantia...
Anche il bigio della polvere fa ripensare ai libri di Buzzi. Perfino «quegli oggetti commoventi», dice commosso, depositati dai cani sul percorso della sua passeggiata urbana e citati nei suoi appunti di viaggio. E, quando sento il mio gatto protestare affamato, mi vedo il soriano Papoose che, mentre le capesante sfrigolano nel forno, «canta e danza d’impazienza». Papoose però era il micio di Saul Steinberg: il protagonista felino nella biografia dell’artista che fu il protagonista rumeno nella biografia di Aldo Buzzi. La confusione perciò è comprensibile, tanto più che lo stesso Buzzi, autore del più bel libro di Steinberg - Lettere a Aldo Buzzi. 1945-1999, Adelphi - ha come Papoose un debole per le capesante. «Capesante o cappe sante?», mi interrompe per ricordarmi che le conchiglie a ventaglio, svuotate del gratinato animaletto, servivano a chiudere il mantello dei pellegrini di Santiago: «sante per Saint Jacques». Ultimamente proprio Steinberg ha offerto l’occasione di rileggere l’amico italiano, complice in arte e compagno di studi in Architettura, destinatario della corrispondenza dagli Usa e letterario alter ego. Il numero monografico di Riga curato da Marco Belpoliti per Marcos y Marcos e dedicato al grande disegnatore del New Yorker comprende una toccante pagina di diario di Buzzi: breve, cruciale racconto della fuga del giovane ebreo da Bucarest, il soggiorno da studente a Milano, il decollo da star per New York...
E ancora, poche settimane fa, Buzzi è tornato in mente alla scomparsa del regista Alberto Lattuada. Per lui, debuttando in letteratura nel ’44, fu autore di Il taccuino dell’aiuto regista (Hoepli): «Uno scherzetto alla Munari: tengo di più ai libri che sono venuti dopo», dice con un sospiro. Grazie a lui, assistendolo in regia, conobbe dive dal décolleté «profumato di pesche mature»: e che la sua espressione, solleticando vista, olfatto, gusto e tatto, risvegli tutti i sensi del lettore... Di Lattuada, infine, sposò o meglio scelse come compagna di vita «alla maniera di una moglie» la sorella Bianca, tuttora accanto a lui.
Fra tante sollecitazioni, finisce che Buzzi non si dimentica mai, sebbene lo scrittore prescriva: «Per non dimenticarli bisognerebbe rileggere i miei libri ogni due anni e mezzo, è la ricetta del medico». Così, la vera occasione per cui sono tornata a trovarlo - a Lambrate, Città Studi: dai tempi degli studi a Milano ha sempre abitato là - è il suo compleanno. Nasceva a Como, il 10 agosto di 95 anni fa, «sotto il segno del leone, il segno dei mangioni, diceva Trimalcione». Ma Buzzi è un crapulone di poche pretese: si fa imbandire banchetti da favola con il riso in bianco che mangiava da bambino a Villa Torricina a Firenze, «bianchissimo, con qualche ombra celeste, e buonissimo». Gli anellini in brodo: il bel brodo del Capitano eroe del migliore - dice lui - dei suoi racconti (in Stecchini da denti): venato d’oro («forse zafferano?»), sfumato in rosa («un’ombra di pomodoro?»). E il pane e sale, «pane di segale con un pizzico di sale per companatico»: alla tedesca, come la mamma, la Käthe, di cui non ha mai conosciuto né la lingua né la terra...
Nasconde un sorriso sotto i baffi e dietro il ciuffo, conserva la sua aria severa e dice furbo: «Da un quindicennio sono un abusivo. Un uomo non vive mediamente 70 anni?». L’abusivato però poteva iniziar prima: «Dopo i 60 anni, scrive Chandler, non ci si dovrebbe più occupare di sciocchezze». Cioè? «Spese bollette noie... invece si continua fino ai cento», ed è il minimo che gli auguriamo. Intanto Raymond Chandler, tra le noie, resta un punto di riferimento: riletto senza rischio di annoiarsi. «È uno di quegli incontri che ti cambiano la visione delle cose. Succede leggendo: è come se a un certo punto, donde che arrivi, si accendesse una luce diversa...». E le vacanze? «Non mi muovo da Milano. Preferisco un posto, anche brutto, dove sono sicuro di poter scendere sul marciapiede a far due passi, a una casa per il riposo assistito, bellissima, tristissima... Lei parta però! In vacanza bisogna andarci sempre, e farne il più possibile, o non ti restano che rimpianti». Poi distoglie lo sguardo e rimpiange: «Si deve andare al mare, non al lago. Lo so, ci sono nato: il lago è umido e c’è il pesce senza sapore. Li buttiamo via, io e lei, i coregoni e le trote comasche famose in tutto il mondo? A Lerici, invece, dove andava Soldati ci sono certi fruttini buoni: i tartufi di mare... Li ha assaggiati? Somigliano alle vongole e son meglio delle ostriche». Meglio delle Cappe Sante? «Mah...», dubita Buzzi che, pellegrino nella letteratura, non parte più di casa neanche per ritirare allori letterari.

A Carpi tre anni fa, per il premio Arturo Loria di narrativa, ci ha mandato Michele, «è mio nipote, ma non un mio discendente...». Ci pensa, alza il dito indice e il tono della voce ed esclama: «Non voglio discendenti, solo ascendenti!».

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